“Così dunque il tempo modifica la natura del mondo, […]

Impotente a produrre ciò che prima poteva, ma capace

di creare quel che prima non poteva”

Tito Lucrezio Caro

 

   Che succede in Francia? Una protesta spontanea di comuni cittadini che indossano gilet gialli come segno di identificazione e scendono in piazza bloccando strade, autostrade, centri urbani e addirittura depositi di carburante e raffinerie. Il motivo è fornito dall’aumento del prezzo dei carburanti, ma poi strada facendo diventa un movimento di opposizione contro le élite e contro la riduzione del potere d’acquisto, contro le tasse e le imposte, i salari troppo bassi e i servizi pubblici non abbastanza efficienti. Altrimenti detto: è lo scoppio improvviso di un malessere che covava sotto la cenere. 

   Sgomento e frustrazione fra i commentatori dei notiziari, la stampa

è allarmata, cominciano le solite girandole delle tavole rotonde e dei talk show e l’attenzione si focalizza immediatamente su due questioni: a) un movimento improvviso; b) un movimento senza leader. E si cerca immediatamente un paragone con il movimento che per oltre un secolo ha caratterizzato la lotta degli oppressi e sfruttati in Occidente, quel movimento che fu catalogato come novecentista, ovvero quello che partì come Quarto stato nella Francia repubblicana, in Inghilterra, poi successivamente negli Usa e così via, fino all’esaurirsi con la fine degli anni ’80, sancito dalla caduta del muro di Berlino e dalla dissoluzione dell’Urss. 

   A mio parere fanno bene a preoccuparsi i pensatori e intellettuali filo-sistema, perché siamo ad una straordinaria svolta storica, si avete capito bene, una straordinaria svolta storica, lontana anni luce dal ‘900 e dalle sue mobilitazioni affluenti nei confronti di un sistema – un modo di produzione – che cresceva, e una parte di esso, il proletariato, chiedeva quota parte per il suo contributo allo sviluppo.  Teorici e politici del tempo che fu pensarono che quella parte potesse impossessarsi del potere politico e dirigere un sistema che invece si faceva beffe della volontà degli uomini e procedeva per conto proprio e con leggi proprie. Si svilupparono partiti e sindacati che contrattavano strada facendo il costo – economico e politico – di quella che era la forza lavoro, ovvero di quella stranissima merce animata chiamata classe operaia. Un sistema che è andato avanti, è cresciuto in modo parossistico, si è espanso in tutto il mondo, ha raggiunto risultati inimmaginabili fino a duecento anni fa, ha introdotto le sue leggi in ogni angolo del pianeta, ha portato a comunicare da un continente all’altro le persone con uno strumento più piccolo della mano, a volare a velocità stratosferiche, ma – come tutte le cose terrene – è ormai al di là del ponte, ha cominciato la discesa, che sarà sempre più ripida.

   Com’è possibile che una nazione partita dalle guerre napoleoniche, che ha padroneggiato su mezzo mondo, ha dettato legge in nord Africa, si ritrova il nemico in casa, un nemico acerrimo e crudele, che la rende “impotente a produrre ciò che prima poteva”, la guerra in Algeria prima e i bombardamenti in Libia poi – solo per citare gli esempi più eclatanti – e oggi si trova in casa la ribellione di quei settori cresciuti proprio all’ombra della “grandeur”, cioè ceto medio, pubblico impiego ed anche – inutile nasconderci dietro il dito - classe operaia integrata. E il caso vuole – quando si dice il caso! - che proprio l’aumento del prezzo dei carburanti sia il motivo della protesta di questi giorni, quel carburante che per decenni ha costituito e tuttora costituisce la rapina nei confronti dei paesi nordafricani e mediorientali da parte delle potenze occidentali. E proprio l’insorgenza mediorientale, la forza di partecipazione a pieno titolo allo sviluppo autoctono dell’accumulazione capitalistica del sud del mondo sta facendo arretrare e mettere in crisi le economie dei paesi occidentali di cui la Francia è fra i capofila. Uno sviluppo – quello dei paesi di giovane capitalismo – che ha accresciuto la concorrenza e sta scatenando la bagarre in tutto l’Occidente, un caos destinato ad aumentare sempre di più. 

   L’imbarazzo dei maîtres à penser perché questi movimenti scavalcano i sindacati dei lavoratori è disarmante. O poveri meschini. Cosa volete che c’entrino i vecchi sindacati operai, espressioni di un ciclo precedente, nel quale cercavano di vendere a condizioni più favorevoli il costo della merce operaia? Ma dove vivete?  La storia insegna che ogni movimento è nuovo, con caratteristiche diverse, perché nasce in un contesto economico, sociale, politico, religioso, culturale e militare diverso; e sviluppa dal suo interno rivendicazioni e avanguardie, che ne racchiudono e sintetizzano le necessità. E’ la legge del movimento della materia.

   Sono movimenti di destra o di sinistra? Solita domanda con lo sguardo rivolto all’indietro, con categorie del ciclo precedente. Cosa volete che c’entri un mugico che lottava per sottrarre la terra alla nobiltà feudataria e coltivarla in proprio con un agricoltore ultra meccanizzato di questi anni messo in crisi dalla concorrenza mondializzata, dalle banche, e dalle recenti misure come l’aumento dei carburanti? Di logica perciò il suo simbolo non può essere la falce, come per chi rivendicava “la terra a chi la lavora” e l’avrebbe dovuta lavorare con falce, vanga e zappa. Questo vale tanto per il moderno agricoltore quanto per l’artigiano e il negoziante buttato sul lastrico dalla grande distribuzione. E non è detto che ad essi non si accodino disoccupati e casseurs, cioè immigrati di nuova generazione che non possono essere integrati, o anche settori di lavoratori di fabbriche in crisi perché sconfitte dalla concorrenza. Insomma una miscela esplosiva di tutto rispetto. Negli ultimi anni – leggiamo da qualche sito - le fasce medio-basse hanno lasciato i grandi agglomerati urbani a causa di una speculazione edilizia che li ha spinti in zone dove l’automobile è l’unico mezzo di spostamento possibile  e dove si è costretti ad una media di 60 km al giorno per il tragitto casa-lavoro-casa. Questa Francia rurale e dei piccoli centri abitativi ha conosciuto un impoverimento complessivo dei servizi (ospedali, uffici postali, tribunali, ecc.), la desertificazione del piccolo commercio di prossimità, oltre al depauperamento del sistema del trasporto pubblico.

   Sicché la domanda non può essere se siano di destra o di sinistra, ma se le loro rivendicazioni possono o no essere riassorbite in un sistema in crisi. 

   Ora, la preoccupazione dei potentati economici è più che legittima, proprio perché si tratta di figure sociali tendenti all’impoverimento e che a differenza della classe operaia – che è legata a doppio cordone ombelicale con il capitale e il capitalista – sono individui che si massificano in forza d’urto senza possibilità di controllo, perché rispondono a sé stesse, non hanno un legame strutturale, e questo fattore rappresenta tanto la sua forza quanto la sua debolezza, perché può solo produrre delle fiammate improvvise, spontanee e disordinate, a ondate, ma destinate – come le onde – a ripresentarsi più forti di prima in un tempo non molto lontano. Un movimento che nasce dalle periferie, si, ma dalle periferie di un paese imperialista, non dalle periferie di Canicattì.

   Chi pensa che il modo di produzione capitalistico sia sempre capace di sopravvivere a sé stesso dovrebbe poter dimostrare che è ancora possibile restituire a quei settori sociali che ha prodotto lo stesso tenore di vita sin qui offerto.

   Falce e martello: addio vecchio appello

    Il vecchio simbolo socialista e comunista della falce e martello, espressione di valorose lotte per la terra e di una più equa remunerazione del lavoro operaio, per l’emancipazione della masse oppresse e sfruttate della fase ascendente dell’accumulazione capitalistica, tranne in casi molto minoritari, non compare nelle mobilitazioni metropolitane di questi anni. Nessun dramma, perché le due rivendicazioni di fondo che quel simbolo rappresentava sono state assorbite nell’insieme del movimento storico del modo di produzione capitalistico. Rivendicazioni che non potevano abbattere un moto che era ascendente e non lo hanno abbattuto; anzi i contadini sono diventati parte integrante di una classe imprenditoriale e gli operai sono stati legati in modo complementare al capitale e al capitalista nella sua guerra di concorrenza contro un altro capitale e un altro capitalista. Di conseguenza i “marxisti” stanno a guardare, perché lo schema dello scontro tra le classi per cui una classe disarciona un’altra, si impossessa del potere politico e instaura la propria dittatura, non è proponibile. Insomma le questioni sono ben più complicate di come le avevamo pensate. Se oggi il proletariato dovesse prendere il potere politico in una qualsiasi nazione dell’Occidente si troverebbe a dover gestire gli stessi i livelli di concorrenza delle merci di quelli attuali e a rifornirsi di materie prime nelle stesse condizioni. Ecco perché i “marxisti” stanno a guardare e non sanno cosa dire.

   Circa il proletariato, la classe di riferimento dei marxisti e del marxismo, in modo particolare in Occidente, ricattato com’è dalla concorrenza del proletariato asiatico, esso è reso impotente e non sa che fare. Inutile cincischiare, non vi può essere teoria liberatrice se manca la materia prima che determina la forza che la possa esprimere. Le lotte qui e là isolate di eroiche pattuglie di lavoratori contro la chiusura di impianti e il super sfruttamento – come nel settore della Logistica – non possono invertire la tendenza che la vedono come classe priva di prospettiva oltre il capitalismo. E le tante minuscole armate ideologiche che si affannano in una resistenza senza sbocchi ne riflettono le frustrazioni.

   Quale prospettiva?

   Cominciamo col dire che il clic non basta e se in Italia si era diffusa l’idea che potesse bastare per cambiare governo e migliorare le condizioni dei ceti sociali colpiti dalla crisi, le mobilitazioni di questi giorni in Francia ci dicono che il clic può bastare per chiamare a scendere in piazza, ma poi bisogna realmente scendere e scontrarsi con le ragioni di uno Stato che cerca di difendere la parte più potente del paese e l’insieme di un modo di produzione sempre più in crisi. In Italia il M5S poté formare il governo insieme alla Lega di Salvini solo dopo aver minacciato di scendere in piazza, di convocare sotto palazzo Chigi i propri elettori. Ma una volta al governo ha incominciato a dover ingoiare più di un rospo e non è finita qui. Non escludiamo perciò una mobilitazione improvvisa tanto al nord quanto al sud per gli stessi motivi che in questi giorni si stanno mobilitando in Francia.

   La nostra tesi è questa: superato lo schema novecentesco, di lotta di classe per migliorare le proprie condizioni di vita in un sistema che cresceva, il modo di produzione capitalistico è entrato in una crisi dalla quale non c’è possibilità di uscire. Ora, lo stesso modo di produzione che prima alimentava la crescita di ceti medi, oggi li impoverisce senza nessuna possibilità di ripristinare uno status quo ante.  Queste classi che si vedono preclusa ogni possibilità di ritorno ai bei tempi andati si rivoltano. Che ne sarà del proletariato, che al momento si presenta privo di prospettiva e che si affida al proprio capitale nazionale e al proprio capitalista? La risposta è: il procedere della crisi provocherà continui scossoni fino ad arrivare ad un caos mondiale, al cui cospetto la crisi del 1929 rappresenta un venticello, e costringerà anche il proletariato a scendere in piazza, in modo spontaneo e disordinato, con una confusione programmatica che si dipanerà nel corso della lotta. Dovendo perciò rispondere alla domanda se la natura di questi movimenti sia di destra o di sinistra diciamo che sono oggettivamente avversi al sistema che li ha prodotti, dunque antisistema al di là di quello che pensano o che professano i loro leader.

   Si incontreranno ceto medio e proletariato per una comune prospettiva? La storia ci dice che il movimento dei contadini ha avuto sempre un percorso proprio rispetto al proletariato anche se è stato costretto in qualche circostanza, come in Russia nel 1917, a lambirlo; e che le classi intermedie si sono sempre comportate come affluenti nei confronti delle grande borghesia e avverse al proletariato. Parliamo ovviamente di quanto accaduto in Occidente. La differenza con il passato però è che mentre cresceva il modo di produzione si sviluppava anche il ceto medio. Con l’implosione del modo di produzione capitalistico il ceto medio – artigiani, piccoli commercianti, agricoltori, professionisti ecc. - non ha una reale prospettiva di ricostituirsi. Dovrà – obtorto collo – relazionarsi al proletariato. Con quale risultato? All’oggi non è dato sapere. 

Michele Castaldo