Ci sono strani “misteri” nella storia dei popoli. Uno di questi, dopo quello palestinese, è certamente quello del popolo curdo. Una popolazione di circa 50 milioni distribuiti in 4 stati: Turchia, Iran, Iraq e Siria. Un popolo che rincorre la creazione di un proprio Stato, a lungo promesso dalle potenze occidentali dalla fine della prima guerra mondiale, e che a tutt’oggi ne è ancora privo. Quali le cause passate e innanzitutto quelle di questi anni?

   Verrebbe da dire: maledetta l’invenzione del motore a scoppio e con esso del petrolio che sta nel sottosuolo del Medio Oriente; perché è in questo rapporto che si nascondono tutte le tragedie di decine di milioni di persone che vivono su quel vasto territorio. Perché il popolo del Kurdistan, oltre ai palestinesi, rappresenta

l’anello debole dell’area, l’anello sul quale si sono accanite le mire rapinatrici degli occidentali, per un verso, e le fameliche borghesie dei paesi concorrenti dell’area che hanno puntato a subordinare i curdi negando loro non solo la costituzione di un proprio, per l’altro verso. 

   La storia antica e moderna di questo popolo è un susseguirsi di guerre e di conquiste. Per comodità espositiva va segnata la data del 1920 come svolta dell’epoca moderna e della formazione degli stati nazionali, quando in occasione del Trattato di Sèvres, firmato tra le potenze alleate della grande guerra e l’Impero ottomano, ai curdi venne promessa la concessione di uno stato autonomo. Ma si trattava di una promessa da marinai, perché Regno Unito, Francia e Usa non mantennero la promessa e diedero il via libera alla creazione di altri Stati nella zona. Da quel momento la Turchia – dove viveva circa il 50% dei curdi - incominciò una dura repressione nei confronti dei curdi proprio per evitare che si costituissero in Stato autonomo. 

   Tutto il dibattito di questo periodo rimuove completamente la questione centrale della guerra che è legata alla estrazione e alla vendita del petrolio e di altri minerali, oltre alla disponibilità delle risorse idriche.      

   La possibile autonomia della regione è legata alla presenza nel sottosuolo di risorse energetiche consistenti. Nel Kurdistan turco vi è l’estrazione di fosfati, lignite, ferro, cromo, rame e petrolio nelle province di Elázig, Siirt, Raman, Garzan, Maden ed Ergani. Il Kurdistan iracheno detiene il 20% delle risorse petrolifere stimate dell’Iraq e ad oggi produce il 75% del greggio nazionale. /Nei giacimenti del Krg, le riserve petrolifere stimate sono di 53Gbbl e quelle di gas naturale circa 5.6 trilioni di metri cubi. Nel Kurdistan siriano è cospicua la presenza di acqua, oltre che d’importanti giacimenti petroliferi, tra i più rilevanti: Al Omar, Kerashuk, Ramelan e Zarbe. Nel Kurdistan iraniano vi è una grandissima presenza di acqua e una considerevole presenza di petrolio nel centro industriale di Kermanshah. Nonostante la ricchezza del sottosuolo, le risorse non sono sfruttate in loco, per cui la popolazione curda rimane ai margini della ricchezza prodotta in tutte le sue aree a causa della politica economica sviluppata dai vari governi centrali. Una futura indipendenza del Kurdistan, vista la ricchezza del sottosuolo, potrebbe passare solo attraverso lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas naturale, che farebbero assumere al futuro Stato i lineamenti di un rentier state, ovvero uno Stato che fonda la propria economia sulla rendita dei proventi della vendita degli idrocarburi. 

   Le potenze europee che sono alle prese con una gravissima crisi economica e sono stretti nella morsa tra la concorrenza asiatica dei paesi emergenti, per un verso, e la potenza politica degli Usa, per l’altro verso, non possono in alcun modo tollerare la nascita di un nuovo Stato nella regione, come stanno tentando di fare gli islamici dell’Isis, e ancor meno di uno Stato curdo

   Sicché il popolo curdo è stato usato continuamente sia dagli Stati della regione che dalle potenze europee come carne da macello nelle guerre che si sono prodotte negli ultimi 40 anni. 

   Giusto per fare qualche esempio: dopo la rivoluzione del 1979 in Iran, l’Iraq – su mandato dell’Occidente e pro domo sua – scatenò la guerra contro il regime komeinista per evitare che la rivoluzione si estendesse all’intera area medio-orientale. In quella guerra furono mandati a morire decine di migliaia di curdi iracheni con la promessa che in caso di vittoria avrebbero usufruito di una autonomia politica. Stessa cosa fu fatta nei confronti dei curdi iraniani. 

   Doveva poi presentarsi sulla scena un nuovo soggetto, ovvero quel movimento islamico ferocemente antioccidentale che rincorre la costruzione di un Califfato, il famoso Daesh o Isis, cioè di uno Stato islamico in concorrenza che gli altri Stati della regione che sono scesi a compromesso con gli occidentali, ovvero si sono integrati nel modo di produzione capitalistico, lasciando marcire nella fame e nella miseria milioni di islamici. 

   Che ci siano milioni di affamati nell’area, nonostante i proventi del petrolio, lo dimostra il fatto che ci sono milioni di profughi – cioè di affamati – rinchiusi in campi, come ad esempio in Turchia, per i quali le potenze occidentali pagano profumatamente il lavoro sporco del governo di Erdogan. Il Corriere della sera di venerdì 11 ottobre ci informa che «in Turchia attualmente vengono ospitati più di 3,5 milioni di profughi, spesso in condizioni che non hanno alcuna aderenza con i finanziamenti ricevuti da Ankara». 

   Paolo Mieli, sempre sul Corriere della sera, di sabato 12 ottobre, mentre rimprovera a Trump di aver ritirato le sue truppe dal confine turco favorendo così l’attacco di Erdogan nei confronti della popolazione curda in Siria, poi è costretto a scrivere: «Ed è forse improprio definire “ricatto” l’annuncio di Erdogan che, in caso di rottura con l’Europa si riterrà libero di lasciare espatriare o espellere quei profughi assieme ad altri che arriveranno. Quale “ricatto”? La verità è un’altra: quel contratto del 2016 che ha consentito all’autocrate turco di incassare tre miliardi di euro, fu discutibile sotto il profilo morale», si noti il cinismo di chi la sa lunga ed è costretto a dirla chiara: «[…] Discutibile perché già allora si sapeva bene che pagavamo Erdogan affinché rinchiudesse quegli esuli in recinti molto simili a campi di contenzione. Né chiedemmo rilevanti contropartite di impegni a salvaguardia del profilo etico dell’operazione. Ci limitammo a raccomandare – come incredibilmente fa ancora oggi il segretario della Nato Stoltemberg – “moderazione».  E aggiunge senza remora alcuna: «quei miliardi di euro erano il prezzo pagato per un’operazione sporca». Viva la faccia.

   Vogliamo porre in queste brevi note una domanda: si dice che il nazismo in Germania abbia rappresentato il male assoluto; bene: in che cosa si differenziano le democrazie europee che affidano a terzi il lavoro sporco, in tempo di “pace”, di eguale bassezza dei campi di concentramento tedeschi in tempo di guerra?

   Ma non è finita, perché di lavoro sporco le potenze europee non si sono rese responsabili soltanto pagando la Turchia per i campi di contenzione, no, lo hanno fatto con Gheddafi in Libia e successivamente, ancora con la Libia, pagando profumatamente, sia i governi di centro destra che i governi di centrosinistra.  

   Ad un certo punto la borghesia italiana, attraverso le parole di Paolo Mieli, viene assalita da “sensi di colpa” e arriva a dire: «Ma allora perché qualcuno dovrebbe esigere la rottura tra la Ue e la Turchia nel caso in cui non vengano ritirati i militari della mezzaluna dal nord della Siria?», e continua: «Per il fatto che noi lo dobbiamo ai curdi, i quali meritano di avere una terra in cui poter vivere in pace». Verrebbe da chiedere: sono 70 anni che negate uno Stato ai palestinesi e oggi dovremmo credervi che vorreste veramente uno Stato per il popolo curdo? Ci vuole una gran bella faccia tosta. Ma lui lo spiega così: «Soprattutto ora, dopo che coraggiosamente per anni hanno fronteggiato l’Isis che aveva iniziato a insanguinare l’Europa, e hanno combattuto, per così dire, al posto nostro». 

   Saddam Hussein iniziò una guerra che durò dieci anni provocando oltre un milione di morti per indebolire l’Iran ed evitare che si espandesse per tutta l’area mediorientale la ribellione islamista contro l’Occidente. Quando passò all’incasso, chiedendo cioè di vendere il petrolio senza il controllo delle potenze occidentali, ricevette un benservito e fu costretto ad invadere il Kuwait per ottenere migliori condizioni di vendita del greggio. Quali buoni motivi avrebbero oggi i curdi per credere alle eventuali promesse dei potentati europei? Purtroppo abbiamo ragione di credere che in realtà la forza degli europei consiste nella incapacità di un reale processo di unificazione da parte delle masse arabe e islamiche dell’area, strette come sono nella morsa dei vari nazionalismi che si contendono un ruolo nel modo di produzione capitalistico, subordinando ad esso le condizioni di vita di milioni di persone. Le stesse singole lotte che si sviluppano in ogni singolo paese – come in questo periodo in Iraq – restando isolate vengono duramente represse con il plauso delle potenze occidentali. 

   C’è una reale preoccupazione in Occidente, essa consiste nel fatto che i curdi dovendosi occupare delle resistenza contro la Turchia saranno costretti ad allentare la tensione nei confronti dei prigionieri dell’Isis, tra cui i cosiddetti foreign fighters, e che questo possa favorire la riresa dei combattimenti da parte dell’Isis per la creazione del Califfato o di uno Stato fluido di quei miliziani, con la capacità di occupare pozzi petroliferi, vendere il petrolio in modo “illegale” e aumentare la concorrenza con il commercio “legale” delle potenze nell’area e ricattare così gli occidentali. Questo, per un verso, e, per l’altro verso, una ripresa del terrorismo su larga scala in Europa.

   Fanno ridere quei personaggi politici che invitano le aziende italiane ed europee a non vendere armi alla Turchia, come se gli industriali che producono strumenti di morte lo facessero per sport piuttosto che per profitto. Si tratta di ingranaggi impersonali, e perciò privi di etica, nei quali vige il principio dell’estrazione del plusvalore in un rapporto complementare con l’altra parte del capitale, quello variabile, cioè la forza lavoro. Dunque si tratta di venditori di illusioni che non scalfiscono minimamente le leggi dell’accumulazione che in questi casi sono ancora più criminali. 

   Non siamo ipocriti: ci sono molte aziende italiane che fanno affari d’oro con la vendita delle armi alla Turchia come la Leonardo, la Augusta-Westland, l’Alenia Aermacchi, la Beretta, tanto per citarne alcune. E le sanzioni? Chiacchiere da bar, il capitale, in modo particolare quello più forte e ppotente, trova sempre il modo di aggirarle.

   Detto in modo semplice e chiaro: tanto i curdi quanto i miliziani dell’Isis somigliano ai due capponi di Renzo: loro si ammazzano mentre le potenze occidentali e le borghesie dell’area se la ridono. L’estremismo islamico è costretto a seminar terrore “religioso” per interpretare le ragioni delle masse affamate; mentre i curdi sono chiamati, pagati e armati, a combattere una guerra contro il proprio simile per conquistarsi uno spazio autonomo nell’area e gestire le risorse del sottosuolo. Che strano: entrambi combattono contro comuni nemici per uno Stato autonomo, ma si fanno la guerra fra di loro. Si tratta di uno di quei tanti misteri inspiegabili della vita degli uomini.

   Si domanda il buontempone: ma perché le potenze occidentali non obbligano paesi nei quali vive una comunità curda a concedere loro l’autonomia fino alla costituzione di un loro Stato?  E perché non viene concesso ai palestinesi di costituirsi come Stato nazionale nella stessa regione? Semplice la risposta: perché prevale il principio della concorrenza nello sfruttamento delle risorse energetiche del sottosuolo. Sicché tanto uno Stato curdo quanto uno Stato palestinese, e ancor di più uno del Califfato, ridurrebbero le potenzialità di accumulazione delle borghesie di Stati come la Turchia, l’Iran, la stessa Siria e l’Iraq. E l’Occidente, più aumenta la crisi economica più ha tutto l’interesse a che non si costituiscano “nuovi” Stati. A maggior ragione per i curdi presenti nei quattro paesi, per utilizzarli volta a volta ora contro l’Isis, ora contro l’Iraq, ora contro l’Iran, ora contro la stessa martoriata Siria.     

   C’è la possibilità di una soluzione? Si, solo se aumenta a tal punto la crisi economica in Occidente che si riversa in quell’area e impoverisce a tal punto milioni di uomini da indurli a insorgere contemporaneamente seminando l’apocalisse nell’area le cui onde lunghe raggiungano le nostre rive scuotendo così la torbida pace del vecchio continente.  

 

Michele Castaldo


PER KURDISTAN S'INTENDE COMUNEMENTE l'area, vasta 450 mila kmq, abitata dalla popolazione di etnia curda, suddivisa tra Turchia, Siria, Iran ed Iraq.

UIKI Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia

Origini della “questione curda”

Il variegato tessuto etnico e religioso del Kurdistan si era formato in migliaia di anni di convivenza tra popoli diversi. Questa rispettosa coesistenza venne gravemente minacciata. Nonostante le loro differenze, infatti, tali gruppi condividevano affinità e somiglianze culturali, economiche, politiche, psicologiche e sociali e consideravano le loro differenze come una fonte di ricchezza. Senza interferenze esterne, esse avevano generalmente vissuto in pace. Tuttavia, all’inizio del XX secolo, il modello dello stato nazionale forzatamente imposto dall’accordo Sykes-Picot del 1916 ebbe l’effetto di una pugnalata inferta al cuore del Medio Oriente e contribuì fortemente a seminare odio e ostilità tra i popoli, spingendo curdi, arabi, armeni, assiri, turcomanni e altri gruppi etnici al reciproco genocidio fisico e culturale. Risulta dunque evidente che i confini e i progetti politici “immaginati” e imposti dall’esterno non soddisfano i bisogni reali delle persone e non portano a risultati soddisfacenti. Le politiche imperialiste hanno portato in Medio Oriente la guerra, le cui vittime sono state e sono tuttora le diverse popolazioni e gruppi religiosi. 

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