Quando un membro del governo come quello attuale, o anche di tutti quelli precedenti, di fronte al dramma della ArcelorMittal, che minaccia la dismissione, dice che “la sovranità appartiene al parlamento e non al gruppo dirigente della società”, dice una stupidaggine. Ci troviamo cioè al cospetto del dilettante allo sbaraglio, del presuntuoso di turno e del cretino patentato, ovvero di colui che non conoscendo la forza delle leggi dell’economia si atteggia a statista, piuttosto che a micragnoso personaggetto.   

   Meno cretino e più con i piedi per terra è Landini, che di fronte al ricatto della società – di dismettere se non viene rispristinata l’immunità penale – propone di ripristinare l’immunità penale per togliere l’alibi all’azienda. Poi ci saranno quelli che spareranno ad alzo zero contro Landini e la Cgil perché in questo modo si favoriscono i padroni sulla morte degli operai e dell’area inquinata circostante in nome del profitto. Il che è vero, ed è anche facile parlare, ma la questione che abbiamo di fronte non è di parole, ma di azioni, ovvero dell’uso della forza. 

   Sulla stessa lunghezza d’onda stanno i Calenda, i Renzi, e gran parte degli uomini di governo che interpretano “correttamente” le necessità dell’azienda e del Pil – Calenda dice che il fatturato della Arcelor Mittal da sola rappresenta l’1,5% del Pil, 

   E gli operai e il loro consiglio di fabbrica? Silenzio imbarazzante, balbettio privo di significato e lamentazione, ma niente lotta, al momento. Perché? Al riguardo vorremmo citare quella famosa scenetta di Totò che racconta ad un amico di un energumeno che lo affronta dicendogli “Pasquale, maledetto delinquente” e lo prende a calci e pugni. All’amico che gli chiede “e tu?” lui risponde “io pensavo: chissà questo scemo dove vuole arrivare”. A un certo punto l’amico gli chiede: “ma come lui ti prende a calci e pugni e tu non reagisci?” E Totò risponde: “E che mi frega, mica sono Pasquale”.

   Ora diciamoci la verità: per chi è schierato contro il capitalismo è facile esultare di fronte a certe rivolte popolari come in Cile o in Libano; più complicato è cercare di ragionare su una vera e propria tragedia come quella che si sta consumando a Taranto. 

   Lo voglio dire a chiare lettere senza nascondermi dietro a un dito: Landini e la Cgil rappresentano lo stato d’animo della classe operaia dell’Ilva di Taranto. Uno stato d’animo deprimente, di chi non sa cosa fare e dove sbattere la testa. Di conseguenza il traditore non è solo Landini, ma tutta la classe operaia dell’Ilva di Taranto. Se non pensiamo questo ci dobbiamo interrogare sul perché una parte importante del proletariato industriale italiano di fronte a un attacco così feroce sta fermo. Non farlo equivale a mettere la testa sotto la sabbia e cercare facili alibi, nascondersi in fumose argomentazioni prive di logica.

   La verità che non vogliamo accettare è che gli operai sono costretti a guardare al capitalista, al capitale e al capitalismo come i girasoli guardano al sole. Sanno di dover da esso dipendere, che sono ad esso complementari. In modo particolare in una fase di crisi di sistema come quella attuale e vivono tra l’incudine del lavoro nocivo proprio e dei propri familiari e la dismissione dell’azienda che li costringerebbe alla fame propria e dei propri familiari. 

   Chi avrebbe il coraggio di presentarsi ai cancelli per indicare il “che fare?” Nessuno, tanto è vero che tutti farfugliano frasi prive di senso, ma nessuno ha la forza di dire che sarebbe necessaria una rivolta popolare, mettere cioè in piazza una sana irresponsabilità operaia, proprio perché gli operai non se la sentono di sfidare una situazione così complicata, dove le leggi dell’economia sovrastano di gran lunga quelle degli stati e dei governi. Sicché l’unica forza non è quella di indurre a più miti consigli, bensì sarebbe la forza della mobilitazione di massa, esattamente quella che temono tanto i 5Stelle quanto quelli del Partito democratico, quanto i Leu che hanno sposato l’idea di gestire da “sinistra” le leggi dell’economia e si son fatti garanti della “civile convivenza”, una civile convivenza che viaggia a pieno ritmo verso il disastro ambientale e l’impoverimento di masse sterminate di uomini. 

   Benvenute le mobilitazioni in Cile, in Equador, in Libano, in Iraq, che dimostrano che stiamo sulla bocca di un vulcano e che il movimento del sottosuolo minaccia tempi brutti per l’insieme del modo di produzione capitalistico.

   A giusta ragione la destra, italiana e mondiale, difende lo status quo e dà dell’irresponsabile a quei “pensatori” che propongono una decrescita felice. E la sinistra? Diamo la parola a J. Diamond e N. Stern:  

   «Nel momento in cui sia la carta neoliberista che quella neo-keynesiana sono state giocate a margine di conseguenze devastanti, ciò che sembra persistere nel nostro rapporto con la crisi è la fede indistruttibile in una nuova rivoluzione scientifico-tecnologica che ci trarrebbe d’impaccio. In altre parole, rimaniamo certi che l’occidente […] tornerà a crescere con la giusta miscela di innovazione e sano capitalismo, e che una nuova generazione di tecnologie “verdi” aprirà ‘nuovi scenari di crescita che potranno trasformare le nostre economie e società nello stesso modo in cui la ferrovia, l’elettricità, l’automobile e l’IT hanno fatto in passato».

   Cantano a Napoli: «ma chisto è suonno d’oro, è suonno ‘e fantasia.».