Prendo spunto da un commento di Dino Erba, «I “nuovi marxisti” alla (ri)scoperta delle “nuove” classi medie», al libro di Bruno Astarian e Robert Ferro, per tornare su un punto teorico e politico di un certo interesse: il ruolo del ceto medio in questa fase.  Se i comunisti d’oggi cercassero di analizzare i fatti per come essi parlano, capirebbero molto di più delle loro strampalate analisi ideologiche.

   Non conosco il lavoro di Astarian e Ferro, ma dal commento di Dino Erba c’è materiale a iosa per riflettere sul fenomeno del movimento del ceto medio, che fa parlare di sé in questa fase. Faccio un’avvertenza obbligata: qualcuno ha scritto che «è pesante da digerire l’esasperato oggettivismo del Castaldo». Lo credo bene, e dal momento che non ho cambiato metodo e impostazione, si può anche non continuare a leggere il presente contributo. 

Procedo per punti per rendere più agevole il punto di vista:

A.              La polemica tra Bernstein, Kautsky e Rosa Luxemburg sul ruolo del ceto medio del tempo che fu c’entra in questa fase come il cavolo a merenda semplicemente perché allora il modo di produzione capitalistico era in fase ascendente, mentre oggi lo stesso movimento è in una crisi che possiamo definire definitiva dagli esiti sconosciuti, ma certamente catastrofica. Sicché se un movimento sociale storico cresce, in esso e con esso si sviluppano tutte le componenti che la forza delle sue potenzialità esprimono. Se decresce espelle una parte del proprio creato. È un concetto semplice, si direbbe lapalissiano.

B.              Le loro posizioni: gradualismo riformista di Bernstein e Kautski da una parte e gradualismo rivoluzionario di Rosa Luxemburg, non sono per niente applicabili all’attuale fase perché il proletariato non è in grado in nessun modo – come ipotizzato da Bernstein – di sfociare  verso il socialismo, da un lato, e dall’altro lato era ideologica la posizione della Luxemburg che ipotizzava la lotta riformista del proletariato per educarsi al fine cui avrebbe dovuto mirare, cioè la rivoluzione socialista. 

C.              A monte delle nostre difficoltà, cioè di tutto il movimento ideale del comunismo, c’è l’errore teorico presente fin dal Manifesto di Marx-Engels, ovvero di ritenere che il soggetto della storia siano state e sono le classi sociali piuttosto che il movimento del rapporto degli uomini con i mezzi di produzione, che genera le classi.  

D.              Di conseguenza ci troviamo ancora oggi a discutere del ruolo delle classi ed a collocarle secondo uno schema che si perde nei meandri del modo di produzione e delle sue fluttuazioni, e per questa ragione non riusciamo a venirne a capo.

E.              Nessuno – neppure Marx e Engels – è mai riuscito a spiegare in base a quali leggi il proletariato avrebbe dovuto abbattere il capitalismo. Perché è sfruttato? E che vuol dire? Questa sola ragione non è – materialisticamente – una forza valida e sufficiente per spingerlo alla rivoluzione. Tant’è che non lo ha mai – e ripeto mai – spinto. Poi ci possiamo raccontare la storia a nostro comodo, ma i fatti sono fatti e la storia, quella vera, segue il suo corso.

Veniamo brevemente ad alcune note di merito rispetto a quello che scrive Dino Erba.

   Il ceto medio, cioè l’insieme di un mondo che è composito, riferendoci per esempio sia a quello produttivo che commerciale – l’artigiano e piccolo imprenditore, da un lato, e il bottegaio o negoziante, dall’altro lato, giusto per capirci – cresce e si sviluppa a macchia d’olio col crescere, a macchia d’olio, del modo di produzione capitalistico. Insomma: se cresce l’industria della lavorazione dei pellami nasce e cresce il laboratorio della pelletteria; se cresce l’industria pesante nasce e si sviluppa la piccola azienda meccanica; se cresce e si sviluppa l’artigianato delle calzature a un certo punto si sviluppa la grande industria calzaturiera. Se si scopre un minerale da utilizzare come carburante nasce e si sviluppa l’industria automobilistica e con essa tutto l’indotto. Siamo cioè in presenza di un movimento del rapporto dell’uomo con i mezzi di produzione. Altrimenti detto: l’artigianato genera la grande industria e questa riproduce l’indotto, ovvero la piccola o piccolissima impresa. Si sviluppa altresì l’apparato burocratico dello Stato e con esso il ceto parassitario di affaristi. Si sviluppa l’apparato accademico e scientifico e con esso intellettuali e scienziati. Si estende la religione e con essa la grande gerarchia del clero e via dicendo. 

   Ora, attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie l’artigianato è destinato ad assottigliarsi sempre di più. Sicché il suo ruolo non è più definito, di conseguenza non può essere “sballottato” tra la borghesia e il proletariato, secondo una certa impostazione “marxista”, e diviene una variabile impazzita perché non ha un ruolo stabilizzato nel modo di produzione capitalistico. Che esso possa schierarsi dalla parte del proletariato, o in modo proletario, è una fantasia “marxista” priva di ogni logica materialistica, e la lotta dei Gilet gialli in Francia, come la comparsa governativa del M5S in Italia, o l’exploit della Lega salviniana, giusto per stare al presente, lo dimostrano in maniera chiara. Sicché chi scrive di questa possibilità è legato a uno schema ideologico, e per di più privo di ogni valore materiale, perché le classi non sono un fenomeno statico sempre uguale a sé stesso, ma vengono continuamente modificate dal processo produttivo, e in certi casi addirittura estinte perché sono superate le loro funzioni. 

   Lo stesso dicasi per il ceto medio commerciale, cioè la bottega, il negozietto, questi vengono fatti fallire dalla grande distribuzione, non ci vuole una laurea particolare per capirlo, e finiscono – come il ceto medio produttivo – col divenire un’altra parte di quella variabile impazzita che si scaglia contro tutto e tutti, in alcuni casi, come in Italia insieme a quello produttivo, hanno costituito in certi casi il movimento dei forconi. 

    Stessa dinamica per un certo mondo contadino – difeso dagli altermondialisti contro la globalizzazione – che sbattono con la testa al muro e sono lontani dal proletariato più di quanto sia la terra dal sole. 

   Se i “marxisti” anziché ragionare ideologicamente riflettessero su come la storia si è sviluppata, capirebbero che il povero Lenin puntava a mettere insieme, in un unico fronte, i contadini (poveri) e gli operai, solo perché insieme avevano i calli alle mani, e si incasinò a tal punto da non capirci più niente, proprio perché in lui non era chiaro il fatto che mentre il contadino (anche povero o poverissimo) puntava a divenire un piccolo capitalista, a sviluppare l’accumulazione ecc,., l’operaio cominciava a organizzarsi per contrattare collettivamente la propria forza lavoro, ma consapevole di essere – in rapporto al capitale – come i girasoli che guardano il sole, (consiglierei a riguardo la lettura di un bellissimo romanzo storico di Stefan Heym, 5 giorni in giugno, sulla rivolta operaia del 1953 nella Germania dell’Est, dove emergono con chiarore tangibile tutte le contraddizioni che l’ideologismo produsse). Lenin si era educato alla scuola della socialdemocrazia tedesca, ovvero ad una impostazione tutta ideologica, e dovette modificare continuamente il suo pensiero e la sua azione nello svolgersi degli eventi. Sicché fu vittima e non artefice degli eventi, in positivo e in negativo, contrariamente a quanti affermano il ruolo importante delle personalità nella storia e assegnano ad esse la responsabilità delle sconfitte.

   C’è poi il ceto medio parassitario per eccellenza, quello dei professionisti, dei funzionari ministeriali, delle alte gerarchie del clero ecc., strutturalmente reazionari. Nella crisi lo diventano ancora di più, ma hanno, purtroppo, mille agganci col potere economico ragion per cui una parte di essi (la selezione non guarda in faccia a nessuno) riescono sempre a salvarsi; beninteso, finché tiene l’insieme del modo di produzione capitalistico, un’altra parte “va ai giardinetti”, come si dice a Roma, ovvero a ingrossare le file del cosiddetto esercito industriale di riserva.

Veniamo al ceto medio acculturato, intellettuale ecc. 

   Questo settore è attaccato dalla crisi come gli altri settori per una ragione molto semplice: in modo particolare in Occidente e dall’Occidente non si estendono più le macchie d’olio, anche o forse soprattutto per la crescita capitalistica in aree prima dominate dal colonialismo, e la promessa degli anni ’80 di una nuova apoteosi del capitalismo occidentale lo ha deluso e reso rancoroso. Basta osservare personaggi come Alessandro Di Battista per capirlo. Mentre il buffone Grillo è passato dal “vaffanculo tutti”, al “va bene chiunque”, destra, centro e sinistra. Altro che Democrazia Cristiana e Partito Socialista di un tempo, qui siamo alle puttane di estrema periferia, senza offesa per le puttane.  

   Ora, è vero quello che scrive Dino Erba sul rapporto diretto tra il proletario e il capitalista, da un lato, e il ceto medio, dall’altro, ovvero che mentre nel primo caso il rapporto è D-M-D’ (cioè denaro-merce–denaro aumentato), nel secondo caso è M-D-M (cioè merce-denaro-merce), ma questo schema ricalca l’impostazione che vuole assegnare al proletariato il ruolo di classe rivoluzionaria, che è tutto da dimostrare. Così facendo, hanno buon gioco gli scopritori di nuovi soggetti, quelli che vedono chi in questo momento muove il culo, cioè il ceto medio, mentre il soggetto “vero”, il proletariato, è fermo ai box e avvinghiato al capitalista e si sposta a destra, almeno a considerare quello che avviene in Occidente, si sposta cioè con il proprio capitalismo nazionale, sovranista, cioè in concorrenza con altre frazioni di proletari e altrettanti capitalisti.

   Ora, chi vede il ceto medio come un nuovo o il nuovo soggetto della rivoluzione sta fuori dalla storia semplicemente perché non è in grado di capire che mentre il proletariato guarda al capitale come il girasole guarda il sole e con esso aspira a mantenere un ruolo di complementarietà capitalistica, il ceto medio è composito e non potrebbe in alcun modo ritrovare un’unità d’intenti proprio perché le sue necessità sono molteplici e spesso addirittura confliggenti al suo interno. Lo specchio di queste contraddizioni è ben rappresentato dal M5S in Italia, ma anche dal movimento dei Gilet gialli in Francia. Venendo meno i ruoli che fino ad oggi hanno avuto divengono una variabile impazzita con un programma economico a ventaglio senza nessuna possibilità di costituire un polo aggregato di programma minimo né di opposizione ed ancor meno di governo. La sua parola d’ordine “né di destra né di sinistra” rispecchia esattamente il ventaglio delle posizioni che possono essere rappresentate tanto dalla destra, come è stato dimostrato dal governo con la Lega, quanto dalla “sinistra”, come l’attuale governo Conte col Pd. Si tratta di una vera e propria barca alla deriva per cui va bene qualsiasi appiglio. Basta osservare con la dovuta attenzione le nuove formazioni politiche che sorgono a seguito dei nuovi movimenti sociali in Europa per rendersene conto.

   Tutto questo se ci riferiamo all’Europa o agli Usa, diversamente si pone la questione per i paesi che si sono sottratti al dominio coloniale e rivendicano un ruolo paritario nel modo di produzione capitalistico in modo particolare per quei paesi ricchi di materie prime come il sud America, il nord Africa e il medio Oriente, 

   In questo caso succede che la conquista della pari dignità nel modo di produzione capitalistico richieda una centralizzazione delle risorse e così facendo si castiga proprio il ceto medio, come per esempio è successo in Venezuela; scatta così la ribellione e si appellano all’Occidente per essere liberati dal “dittatore”. Nel Cile del 1972 diedero la stura al colpo di stato contro il legittimo governo di Salvatore Allende. 

   In nord Africa e Medio Oriente mentre le classi medie sono in subbuglio contro la corruzione proprio perché rivendicano una posizione di prestigio nel nuovo corso del proprio paese nel modo di produzione capitalistico, le classi meno abbienti alternano scoppi improvvisi di rivolte, come ultimamente in Iran, a periodi di stasi sociale.

    Per tornare alla questione teorica accennata da Dino Erba, va detto che già in Russia subito dopo la rivoluzione del 1917 i bolscevichi furono criticati da Rosa Luxemburg perché vietarono lo sciopero degli impiegati della Pubblica Amministrazione, delle Poste e delle Ferrovie, perché il paese era ridotto in macerie a causa della guerra. Allora si imponeva la centralizzazione delle risorse per la ricostruzione, oggi nei paesi occidentali si impone il castigo del ceto medio attraverso la centralizzazione per reggere alla concorrenza internazionale, proprio dei paesi emergenti asiatici e africani. Altrimenti detto: è la concorrenza a farla da padrona ed a trascinare Stati e governi a misure estreme che aumentano sempre di più il caos. 

   Avranno un ruolo rivoluzionario le classi medie in questa fase del modo di produzione capitalistico? La domanda è mal posta perché il ruolo rivoluzionario lo ha la crisi del modo di produzione che procede a sbalzi fino ad un punto di caduta definitiva; sicché il soggetto è il modo di produzione capitalistico. L’azione delle classi medie è sabbia che il modo di produzione stesso mette nel suo motore. Pertanto chi rincorre il soggetto della rivoluzione in questa o quell’altra classe porta a spasso la fantasia.

Ma cosa nasconde la scoperta del ceto medio di Bruno Astarian e Robert Ferro? La vecchia illusione soggettivistica secondo la quale una diversa direzione politica del movimento lo può condurre in direzione diversa. Si tratta così un movimento sociale alla stregua di un cavallo al quale basta mettere la cavezza e dirigerlo secondo i propri desideri. Una illusione che dovettero bruciare Lenin, Bucharin e Stalin nei confronti dei contadini; Trocky nei confronti della seconda guerra mondiale con la costituzione della IV Internazionale, il gruppo dirigente della Germania dell’est nel 1953 di fronte alla rivolta operaia; il povero Mao che predicava l’equilibrio tra città e campagna e comuni industriali-agricole fu messo in fuga dal gatto Den Xiao ping, e il Pci in Italia che pensava di attrarre il ceto medio e fu da esso attratto e distrutto.

Purtroppo certi “marxisti” amano fantasticare, chi glielo può impedire? 

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Da Marx a Marx
Da Marx a Marx

Autore Michele Castaldo

MODO DI PRODUZIONE E LIBERO ARBITRIO

Marx e il Torto delle Cose

LA CRISI DI UNA TEORIA RIVOLUZIONARIA

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