I grandi eventi sollecitano curiosità, ricerca, approfondimenti, apprendimento, riflessioni, polarizzano le persone secondo interessi e determinano orientamenti. Il coronavirus mi pare che sia entrato prepotentemente in scena ponendo una serie di questioni che magari fino al giorno prima si discutevano con apatico distacco. La storia umana, come ogni altra storia di tutte le specie della natura, impone i suoi ritmi chiamando ognuno a misurarsi con i problemi posti. E purtroppo, se dovessimo misurare la tenuta del modo di produzione capitalistico dalla capacità della sinistra di esaminarlo per abbatterlo, potremmo dire che vivrebbe in eterno. 

   Nel mio articolo precedente, Il virus dell’uomo capitalistico, scrivevo: «Dobbiamo avere la consapevolezza di non sapere cosa vuol dire comunismo, ma di sapere quello che ormai la gran parte della specie umana non dovrebbe più volere, ovvero la supremazia delle leggi della concorrenza e del mercato che hanno dominato il mondo per oltre 500 anni». 

   Mi avventuravo però in una previsione scrivendo: «Pertanto nel caos che da oggi sempre di più aumenterà con scenari a noi sconosciuti è necessario trovare la forza di denunciare le cause della crisi dell’attuale modo di produzione, e prepararsi a stare al posto che ci compete», quasi a prevedere certe proposte che sarebbero venute fuori a indicare “che fare” da parte di organizzazioni e personaggi illustri.  

   In queste note ne prendo due a campione, di un personaggio e di una organizzazione, per una prima e serena riflessione al riguardo.

   David Harvey, in un lungo articolo su “sinistrainrete.info”, dopo una “severa” critica al liberalismo scrive: «Covid-19 non sta producendo una fluttuazione selvaggia ma un crollo imponente del cuore della forma di consumismo che domina i paesi più ricchi. La forma a spirale dell’accumulazione infinita di capitale sta implodendo da una parte all’altra del mondo», ed ecco una prima proposta: «Può salvarlo solo un consumismo di massa finanziato dal governo e spuntato dal nulla. Ciò richiederà, per esempio, la socializzazione dell’intera economia negli Stati Uniti, senza che questa venga definita come socialismo». Verrebbe da chiedere al signor Harvey cosa intende per «socializzazione dell’intera economia», ma stiamo all’essenziale di quello che dice:  «consumismo di massa finanziato dal governo» che vorrebbe dire grosso modo: prestito da parte delle banche al governo degli Usa per produrre consumo di massa e una volta passata la tempesta del Covid-19 si dovrebbe procedere a un massacro sociale per restituire alle banche il munifico prestito. 

   Seguiamo il suo ragionamento:

 «La grande domanda è: quanto durerà»? quello che lui intravede, e non a torto, come un crollo, e prosegue: «Potrebbe durare più di un anno, e più proseguirà più andrà avanti la svalutazione, compresa quella della forza-lavoro. I livelli di disoccupazione, in assenza di massicci interventi statali che dovranno andare contro la corrente neoliberista, quasi certamente saliranno a livelli comparabili agli anni Trenta. Le conseguenze immediate per l’economia e per la vita quotidiana sociale saranno molteplici». 

   Questo signore ha il respiro lungo, sa prevedere e suggerire di prevenire, scrivendo: «Se la Cina non può giocare ancora il ruolo che ha avuto nel periodo 2007-2018, l’onere di uscire dall’attuale crisi economica si sposta negli Stati Uniti. E qui sta l’ironia finale: le uniche politiche che funzioneranno, sia economicamente che politicamente, sono molto più socialiste di tutto ciò che Bernie Sanders potrebbe proporre e questi programmi di salvataggio dovranno essere avviati sotto l’egida di Donald Trump, presumibilmente sotto la maschera di Making America Great Again (traduciamo: (Rendere di nuovo grande l'America).  Quei repubblicani che si sono opposti così visceralmente al salvataggio del 2008 dovranno fare buon viso a cattivo gioco o sfidare Donald Trump». Quando si dice che certi intellettuali corrono al capezzale del moribondo a fargli la respirazione bocca a bocca. Attenzione, perché in cauda venenum. A che pro il nostro studioso e saggista si fa portatore di cotanto accorato appello nei confronti di un personaggio ultraliberista come Trump? Presto detto: «Quest’ultimo, se sarà saggio, annullerà le elezioni in caso di emergenza e proclamerà l’inizio di una presidenza imperiale per salvare capitale e il mondo da «rivolte e rivoluzioni». Come dire: meglio il   liberismo capitalistico che la rivoluzione! Viva la faccia. Diceva un vecchio bracciante agricolo delle mie parti: gratta gratta e sotto un vero democratico scoprirai sempre un servo del capitale.    

   C’è un piccolo particolare: questo virus può provocare più danni di quanto gli scienziati e gli economisti possano immaginare. Di fronte a una recessione senza precedenti nella storia, con un calo della produzione industriale da brividi, «la moneta non figlia valore» diceva una certa Rosa Luxemburg, e tanti ciarlatani dovrebbero solo abbassare la testa al suo cospetto. 

   Duemila miliardi di dollari promessi dall’amministrazione Trump, senza che riprenda l’economia, quelle vera, quella che produce valore e accumulazione, rappresentano carta straccia. Una Cina senza la possibilità di esportare perché gli altri paesi sono fermi, entra in recessione e si mangia tutto il valore prodotto negli ultimi anni. Si tratta di semplicissime leggi dell’economia a questo stadio di sviluppo del modo di produzione capitalistico. Figurarsi per nazioni minori. Per certe cosiddette grandi potenze europee varrà, e sta già valendo, il principio del si salvi chi può, piuttosto che cercare di aiutarsi reciprocamente. Si scateneranno l’una contro l’altra senza risparmio di colpi: «à la guerre comme à la guerre» nel tentativo di salvare la propria patria, altro che Europa terzo polo e “idealismi” borghesi simili. Pertanto la proposta di Harvey fatta a Trump è puro idealismo borghese nel tentativo di salvare la condizione sua e quella dei suoi simili. 

   Se alle conseguenze del Covid-19, cioè l’impoverimento generalizzato del proletariato e l’aumento vorticoso della disoccupazione, aggiungiamo i disastri ambientali e il malcontento delle giovani generazioni, abbiamo una tale miscela esplosiva rispetto alla quale la crisi del ’29 impallidirebbe. Siamo alla minaccia dell’intero modo di produzione capitalistico.  

    Chiarita la posizione di un “illustre” saggista, senza alcun nostro merito, perché parla da sé e non rappresenta certamente solo sé stesso, cerchiamo ora di esaminare un’altra posizione, di tutt’altro sapore e spessore teorico, politico e pratico, quella della Rete dei comunisti e della rivista Contropiano pubblicata questi giorni sul loro sito.  

   Si fa obbligo di una premessa. Sono oltre cento anni che liberisti e democratici sputano veleno contro il comunismo, l’Urss, la Cina, Cuba e tutti i paesi che hanno dovuto lottare duramente contro il colonialismo e l’imperialismo occidentale. Sono oltre cento anni che qualsiasi dirigente politico di un paese in lotta contro l’imperialismo veniva additato al pubblico ludibrio con accuse infamanti inventate di sana pianta. Solo ultima in ordine di tempo una campagna infame da parte di tutte le forze “democratiche” occidentali contro il governo legittimo del Venezuela e le continue minacce di invasione rientrate solo grazie alla caparbia resistenza del suo popolo. Per non ricordare che in Italia la Democrazia Cristiana, insieme alla Chiesa Cattolica, raccontava che i comunisti in Russia mangiavano i bambini. Che il 5 marzo del 1953 in morte di Stalin in Occidente si banchettò perché era morto un criminale; e via di questo passo fino alla ubriacatura del liberismo che salutò la caduta dell’Urss nell’’89 come il trionfo della democrazia e della libertà,  la caduta del muro di Berlino come una nuova età dell’oro, mettendo le mani sul proletariato dell’est europeo a prezzi stracciati per riprendersi da una crisi pericolosa; fino ai nostri giorni, alla scoperta del coronavirus in Cina, additando quel popolo come mangiatore di cani, serpenti, pipistrelli e come spargitore della nuova peste, per poi gradire da esso medici, medicine e mascherine. Ognuno tragga le conclusioni che crede.

   Ciò premesso, passiamo a esaminare la posizione della “Rete dei comunisti”, di un gruppo che da sempre si è espresso per il sostegno incondizionato ai popoli in lotta contro l’imperialismo, cominciando da quello palestinese, e non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per paesi come Russia e Cina che ancora, seppure solo formalmente, si richiamano al comunismo o hanno come simbolo la falce e il martello. La questione è seria e mi auguro che ci saranno altre occasioni per approfondire ulteriormente i problemi che la loro posizione pone.

   “Contropiano” sul suo sito titola: «Per noi marxisti è l’ora della vendetta» e Luciano Vasapollo, figura di primo piano di questa organizzazione, scrive: «Nel mondo esiste un altro modello, che si sta rivelando vincente come abbiamo sempre affermato e sostenuto in questi anni. E’ il modello della pianificazione».

   Ora, alla luce dei fatti di questi giorni non gli si può dare torto, perché se da un lato c’è Boris Johnson e Trump che predicano «l’immunità di gregge» contro il Covid-19 senza neppure prendere in considerazione alcune misure fondamentali, salvo poi fare una conversione a U e applicare le stesse misure di chi da subito si è mosso per salvaguardare le vite umane, in modo particolare come la Cina, paese “comunista” e nel mirino del liberismo occidentale.  Mentre Mauro Casadio, della “Rete dei comunisti” domanda: «Capitalismo a fine corsa? La necessità dell’alternativa di sistema». 

   Stabilita la necessaria distanza tra un servilismo avvilente, come quello di Harvey, e quello che scrivono e per anni hanno praticato “Contropiano” e la “Rete dei comunisti”, entriamo più nel merito del problema che riguarda tutti i militanti che si richiamano al comunismo, cioè non un diverso modello di capitalismo per cui propendere, ma il suo superamento. Si dirà: sì, ma oggi abbiamo da sconfiggere il liberismo nei confronti del quale c’è un modello “vincente”, cioè la pianificazione centralizzata dell’economia. E sia, cioè nello stesso modo di produzione ci sarebbero due modelli, uno liberista, l’altro pianificatore e centralista, e noi scegliamo il secondo, quello vincente.

   Ma Mauro Casadio, della “Rete dei comunisti” cosa intende per sistema? Un “sistema” non è un modello dello stesso sistema, ma un sistema diverso, ovvero con leggi economiche di funzionamento completamente diverse, ad oggi a noi sconosciute. Questione di lana caprina o necessità di chiarirci le idee sulle prospettive di una eventuale caduta catastrofica del capitalismo? È in questi termini che ormai si pone la questione. 

   Se per nuovo sistema Mauro Casadio, la “Rete dei comunisti” e “Contropiano” intendono, come scrive Mauro Casadio: «Questa prospettiva per la RdC è anche quella della rottura dell’Unione Europea e la costruzione di un’area Euromediterranea che agganci le proprie prospettive a quei paesi che sono antagonisti all’attuale sviluppo imperialista», non siamo fuori dal sistema capitalistico e dal suo modo di produzione, ma siamo all’interno di un’ipotesi di modello economico dello stesso sistema. Allora non è in discussione il “sistema”, ma lo stesso liberismo contro cui si è espresso Harvey, che poi addirittura suggerisce a Trump una pianificazione e una centralizzazione dell’economia per uscire da questa crisi che rischia il crollo. Quale lo scopo di Harvey? quello di «evitare rivolte e rivoluzioni». 

    Allora cerchiamo di guardarci negli occhi e dirci le cose come stanno realmente. 

   Oggi l’intero globo è in subbuglio e pur non negando la volontà, la necessità e l’azione dei paesi occidentali di dominare le aree emergenti come il Sud America, il Medio Oriente e l’Estremo Oriente, con azioni criminali di ogni tipo, la crisi potrebbe coinvolgere tutto e tutti in un caos generale dove si porrebbe all’ordine del giorno non l’alternativa fra due schieramenti di guerra tra Stati, ma il crollo dello stesso modo di produzione capitalistico. Nel qual caso saremmo chiamati non a stare con certi Stati contro altri, ma con la rivoluzione contro la controrivoluzione; a stare, cioè, contro lo stesso Harvey che la teme al punto da consigliare a Trump di «annullare le elezioni e di proclamare l’inizio di una presidenza imperiale». 

    Siamo, a ben vedere, di fronte a uno scenario completamente diverso da quello degli anni ’20, ma anche degli anni ’60 e persino degli anni ’90 del secolo scorso. Siamo più prossimi a uno scenario apocalittico di fronte al quale tutto l’armamentario novecentesco non ci aiuta. Ancora una volta la storia si mostra più avanti delle previsioni dei rivoluzionari, come fu per Lenin che a gennaio del 1917 vedeva lontana la rivoluzione in Europa e in Russia non la vedeva affatto; mentre a febbraio la dovette cavalcare, almeno in Russia. 

   Il modo di produzione capitalistico è arrivato al punto che ci si pone drammaticamente il compito di non impantanarci in avventure nazionalistiche di sinistra che ci condurrebbero in percorsi con compagnie poco affascinanti.

Michele Castaldo

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Da Marx a Marx
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Autore Michele Castaldo

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