All’indomani del salvataggio da parte del governo americano delle due grandi agenzie finanziarie  Fannie Mae e Freddie Mac, per cifre da capogiro, alcuni analisti si chiedevano ..<< Ora che il governo americano rischia di spendere fino a 200 miliardi di dollari, cosa succederebbe se altra banca si trovasse in crisi? Ci sarebbero ancora soldi per un salvataggio? >>. E’ bastato il volgere di un mattino e l’euforia dei mercati si è non solo sgonfiata ma c’è stato un nuovo tonfo, proprio per quella previsione-domanda degli analisti, che da dentro sentivano odore di bruciato, e cioè del fatto che la Korea Deverlopment Bank  si era dichiarata non più interessata all’acquisto della Lehman Brothers, in altri termini si era rifiutata di comperare – di immettere denaro fresco dell’accumulazione asiatica  nel pozzo senza fondo della Finanza americana, un istituto vicino al fallimento. Sono asiatici, mica cretini.

Ora, le domande sono molteplici, ma a noi interessa stare al cuore del problema e cioè se si tratta di cicliche tempeste che snelliscono il mercato finanziario in una sorta di cura dimagrante dell’atleta per rilanciarlo con maggior vigore in una rinnovata accumulazione di questa nuova fase che viene definita della globalizzazione, o di qualcos’altro.

Più prosaicamente ci interroghiamo sulla salute del Sistema del Capitale e delle sue leggi di funzionamento, anche perché non crediamo alle dichiarazioni di rito dei Bush, Trichet, Putin e similari che tendono a tranquillizzare i fessi sempre disponibili a svenarsi per acquistare titoli, obbligazioni ecc.  Le strutture dell’economia solo salde, dicono in coro e Berlusconi – che in fatto di teatralità non è da meno a chicchessia visto che da giovane lo faceva di professione -  rincara la dose,<< in Italia non potrebbe accadere, perché gli istituti finanziari non hanno mai finanziato l’intero mutuo per l’acquisto della casa.>>. E Tremonti suo ministro del tesoro gli fa eco: << L’industria italiana è manifatturiera e si è ristrutturata dopo l’Euro, in Italia non potrebbero accadere cose simili>>. I possessori di titoli Parmalat gridano ancora vendetta, ma tant’è.

Per cercare di capire di cosa si parla, può bastare qualche dato: una azione della Lehman solo un anno fa valeva 80 dollari, oggi, cioè un minuto prima del fallimento, valeva 19 centesimi di dollaro. Chi aveva acquistato cento azioni 13 mesi fa, aveva versato nelle casse dell’istituto 8.000 dollari; volendole rivenderle – un minuto prima del fallimento – avrebbe innanzitutto dovuto trovare  il compratore per incassare 19 dollari. Ridotta all’osso, questa è la questione, ovvero l’evaporazione di una enorme quantità di valore che immesso nel circuito virtuale della speculazione finanziaria si è sciolto nell’etere. Altrimenti detto la moneta non poteva figliare valore e siccome niente è fermo e tutto è in movimento, in termini economici questo ha significato la bancarotta per alcuni – per il momento - grandi gruppi finanziari e bancari.

Un fatto circoscritto agli Stati uniti per la leggerezza con cui hanno operato – senza regole - determinati settori della Finanza’? Niente è circoscrivibile nel mercato globale a questo stadio di sviluppo dell’Accumulazione. Basta volgere lo sguardo a Oriente, in paesi come la  Cina che sembrava proiettata ad essere la locomotiva del nuovo e poderoso sviluppo di tutto il Sistema del Capitale mondiale e che invece subisce la stessa sorte degli Usa lì, negli stessi settori, proprio  nel mercato immobiliare, con ricadute ancora più gravose che per gli stessi States avendo un retroterra di miseria e di disperazione nelle campagne da catastrofe umanitaria; ma un poco tutta L’Asia è in difficoltà, perché le banche centrali cinese, giapponese e coreana per riciclare i loro immensi attivi commerciali si sono riempite le casseforti di titoli-spazzatura americani. Oppure al di qua dell’Atlantico  dove la Aig, un’altra grande azienda del comparto assicurativo e finanziario sull’orlo del fallimento, presente in ben 130 paesi, ha una controllata, la Intenational Lease Finance Corporetion  (ILFC) che ha il controllo per il 90% della Telecom bulgara e il 9% della People Insurance Company in Cina, finanzia quale sponsor la società di calcio del Manchester Un. per 71 milioni di euro all’anno ed ha consociate in tutta Europa occidentale e  con addentellati in alcuni paesi ex satelliti Urss. Qualcuno avverte: << Se il colosso Aig dovesse saltare, in poche ore si assisterebbe a una catastrofe senza precedenti nella storia. >>, provino a dargli torto i cosiddetti ottimisti. Può meravigliare dunque il fatto che il maggior paese liberista del mondo nazionalizzi due grandi gruppi finanziari? E’ un interrogativo per gli ingenui, perché il governo americano non aveva altra scelta se non voleva assistere impotente ad un effetto domino, ad una reazione a catena, al fallimento di decine o forse centinaia di gruppi finanziari e bancari. La determinazione è una scienza fondata sulle coordinate della causalità,  il governo americano non ha scelto di nazionalizzare, ha dovuto nazionalizzare nel tentativo di porre un freno alla frana e ciononostante non ha potuto impedire il fallimento della Lehman Brothers. Ma attenzione bene, perché i 200 miliardi di dollari immessi a garanzia  nelle casse delle società nazionalizzate rappresentano poca cosa a fronte dei 5.000 miliardi di esposizione dei due istituti; dunque il peggio dovrà ancora arrivare.  Come mai il governo americano non ha salvato anche la Lehman Brothers? Ci si potrebbe chiedere, e la risposta la forniscono gli analisti: non ci sono soldi sufficienti per farlo, per un verso; e perché ci sono concorrenti pescecane in agguato che si sono spesi perché fallisse. Insomma le autorità politiche ed economiche sbagliano sia se salvano sia se lasciano fallire, come del caso della Lehman.

Qualche analista più “coraggioso” azzarda << Se un medico annuncia che deve amputare un arto per evitare che la cancrena si diffonda, è difficile che il paziente gioisca, ma questo non vuol dire che la decisione del medico sia sbagliata. E purtroppo questo è lo stato del mercato finanziario americano. >> ma attenzione << la scelta del Tesoro e della Fed di non intervenire è stata giusta e coraggiosa, ma mette in evidenza la situazione difficile e il rischio che la cancrena si diffonda all’intero sistema. >>, nel mentre la Fed decide di intervenire per salvare l’Aig di cui dicevamo sopra.

Ma perché fallisce una società finanziaria legata al credito immobiliare? Chi fa un mutuo, fa una scommessa, compra una casa nell’ipotesi di lavorare e pagare la rata del  mutuo. Semplice e lapalissiano. Se il tizio non guadagna abbastanza o perde il lavoro, non può far fronte all’impegno sottoscritto. Negli Stati Uniti – e lo tzunami sta arrivando anche in Europa – si stanno impoverendo sia la classe media che le classi proletarie: si riducono i consumi per una decrescita dell’accumulazione. E per quanto si sia tentato di drogare il mercato immobiliare con i mutui sub-prime  - quelli senza le necessarie garanzie – non solo non si è rilanciato il mercato immobiliare, ma si è gonfiata oltremodo la bolla.

In buona sostanza e tradotto all’osso, il settore della finanza immobiliare ha assorbito una straordinaria quantità di valore reale e lo ha bruciato in moneta virtuale e siccome la moneta già di per sé non figlia valore, figurarsi la moneta virtuale, ha prodotto fumo dovuto al suo fuoco.

Ora,  gli analisti si sperticano in elaborazioni e circonlocuzioni senza mai riuscire ad affondare il coltello nella piaga: la grave crisi economica mondiale del Sistema del Capitale. Facciamo un esempio semplice, per farci capire da chi ci deve capire: un operaio della General Motors che guadagnava negli anni sessanta un valore corrispondente a 2.000 dollari di oggi, poteva grossomodo fare un mutuo e pagarselo, magari perché lavorava anche la moglie. Oggi, un operaio della stessa azienda deve limitarsi e di parecchio per arrivare a fine mese, e se accende un mutuo deve chiudere la cucina. Per non parlare di settori lavorativi come la Wal Mart, dove  un dipendente supera di poco se li supera,  i mille dollari al mese; con due stipendi possono accendere un mutuo, ma chiudere il riscaldamento e mangiare al Mdonald’s.  Se frena dunque l’economia reale, quella che produce valore, frena e tracolla il castello su di essa costruito: la speculazione immobiliare e finanziaria.

C’è un’altra domanda alla quale gli analisti non riescono a fornire  risposte  e cioè: come mai questi fallimenti nonostante il mercato asiatico sia in espansione con tassi di crescita eccezionali? Per la semplicissima ragione che si spostano determinate produzioni da una parte all’altra del pianeta per ridurre drasticamente i costi,  si ha l’effetto moltiplicatore da un punto di vista dell’aumento della produzione, senza per questo avere un aumento corrispondente delle vendite – vedi il mercato automobilistico per esempio – e contemporaneamente un abbassamento dei consumi per diminuita capacità di acquisto da parte di ampi settori di classi proletarie nelle nazioni dove vengono operate le delocalizzazioni.

Per stare ai crudi fatti, la Fannie Mae nacque durante il New Deal roosveltiano con lo scopo di fornire liquidità al mercato dei mutui, come a dire che è passata da medico ad ammalato terminale sulla via del trapasso a miglior vita. E’ in questo concentrato il senso dell’attuale crisi della finanza occidentale.

Altrimenti detto, non siamo alla fine del 700  quando la finanza olandese – espressione di sviluppo di valore reale – finanziava il debito pubblico britannico, quando cioè  almeno un quarto dei titoli emessi dal tesoro era sottoscritto da capitalisti olandesi, e dunque veniva in questo modo finanziato lo sviluppo inglese, sviluppo che significava  accumulazione di valore.

Siamo nella fase in cui l’Occidente nel tentativo di sopravvivere come quota centrale  del Sistema del Capitale mondiale nel tentativo di combattere la caduta tendenziale del saggio di profitto deve intensificare oltremodo l’aumento della produttività sul proletariato indigeno e non potendolo fare che fino ad un certo punto delocalizza, sposta le produzioni nell’Est europeo o in Asia per un verso, per l’altro inietta nelle vene del mercato la droga debitoria fino al parossismo, illudendosi in questo modo  di poter vivere al di sopra delle sue possibilità e sperperando altrimenti il valore prodotto sia in Asia che nello stesso Occidente, accumulando non più valore ma debiti su debiti in un vortice autodistruttivo.

In Europa – con gli italiani in testa – stanno nascendo come funghi società finanziarie e immobiliari che investono in Romania, vanno a esportare anche lì una bolla dallo scoppio deflagrante. Per dirla tutta siamo al punto che le più grandi case automobilistiche e di movimento terra degli Usa come la General Motors, la Craisler, la Ford  - cioè il cuore per tutta una fase dell’accumulazione di valore - cominciano a chiedere interventi dello stato per la propria sopravvivenza, a licenziare decine di migliaia di dipendenti. Sono questi, segnali di scricchiolii di un inesorabile crollo in quanto Sistema sin qui sviluppatosi.

Ma ecco pronta la ricetta degli ottimisti europeisti: << In Europa si sta accreditando l’idea che dalla crisi si esce soprattutto con grandi investimenti pubblici, o comunque con politiche basate sul disegno pubblico di grandi opere. Politiche keynesiane. Il ritorno alle regole accompagna il ritorno del pubblico. Sotto il dominio della morale, sarà il ritorno della manifattura: Il ritorno della morale del lavoro; e c’è più morale del lavoro in un prodotto industriale che in un prodotto finanziario. L’idea che la ricchezza non si produce a mezzo debito; la ricchezza si produce a mezzo lavoro. >> . Chi è costui? Un socialdemocratico? Un socialista? Un pciista anni sessanta? No, Giulio Tremonti, ministro del Tesoro del governo Berlusconi che affida alle future generazioni il trittico Dio Patria Famiglia di mussoliniana memoria. Impazzito? No, recita il ruolo che gli compete, costretto dalle circostanze determinate rimastica il rimasticato, rimette le mani nella spazzatura e rispolvera vecchi trofei. Ma il punto è che non siamo all’inizio di un poderoso sviluppo dell’accumulazione ma nella sua fase di decadenza, della decrescita, che quanto sta accadendo negli Usa non è l’eccezione ma la regola e che anzi quelle cadute trascineranno verso il crollo totale l’intero Sistema del Capitale. Lo stesso corporativismo – sempre di mussoliniana memoria – proposta da Sacconi per l’Alitalia nonch’è dalla Marcecaglia per conto della Confindustria, si colloca non in una fase di forte espansione coloniale – quella fascista e mussoliniana, appunto – dove potevano essere scompaginate le organizzazioni operaie ma elargite briciole sia di salario indiretto che diretto, oggi quelle nazioni e popoli coloniali stanno presentando il conto ed esso è salatissimo.   Anche per queste ragioni fa fatica a organizzare una militanza di massa di tipo fascista contro immigrati e proletari indigeni nonostante una infame campagna d’ordine che ha trovato sintesi e riscontro nelle urne elettorali e l’espressione nel governo Berlusconi.

 

Riflessi sulle classi sociali.

Stabilito che non si tratta – in questa fase - di cicliche crisi monetarie, che possono essere superate con un nuovo rilancio dell’economia, cerchiamo di capire quali riflessi hanno sulle classi sociali in generale e per quello che maggiormente ci interessa, sulle classi proletarie sia in Occidente che nei paesi a giovane capitalismo in specie quelli possessori di materie prime. E’ di pochi giorni fa la notizia della cacciata dell’ambasciatore americano dalla Bolivia e dal Venezuela, due paesi ricchi di giacimenti di petrolio ed altre materie prime.

La riduzione dei consumi fa calare il prezzo del petrolio – anche qui il cane che si morde la coda – e dunque fa aumentare la frizione fra il Capitalismo imperialista americano e occidentale nei confronti dei paesi possessori di giacimenti e questo vuol dire aumento della tensione sociale e delle proteste di centinaia di milioni di proletari in quell’area del sud America, con nuove minacce di aggressione cosi come sta marciando con la Bolivia orientale.

In Medioriente gli occidentali sono stretti nella morsa di una crescente ribellione armata in Afghanistan e in Iraq o latente come in Iran sedata dall’illusione di un probabile ruolo di potenza dell’area, magari con la  bomba atomica; ai confini  - in Georgia - si va ammassando la prepotenza Usa ed europea per indurre  la Russia a più miti consigli, senza per altro riuscirvi, e ottenere – sotto la minaccia delle armi – gas e petrolio a prezzi da svendita. Per non parlare della Cina che ha impoverito gran parte del suo territorio interno riducendo alla fame centinaia di milioni di contadini ed ora si ritrova con montagne di carta straccia fra le mani senza nessuna possibilità di utilizzare il frutto del proprio sviluppo, perché è stato svalorizzato. Insomma una crisi generale del Sistema del Capitale.

Sul piano interno un paese come gli Usa deve torchiare oltremodo le classi medie per poter drenare risorse da destinare ai salvataggi. In Italia potremmo essere tratti in inganno dai grandi centri commerciali  sempre stracolmi, si tratta di una massa di proletari che spendono quote di droga debitoria fidando sul fatto che tutto viene a essere pagato in ….“comode rate mensili”, per sopperire magari alla impossibilità molto spesso di arrivare alla quarta settimana. Si tratta di piccoli debiti, certo, ma mille volte un euro fanno mille euro e le masse proletarie imbonite dalle campagne propagandistiche abboccano e si drogano. Poi rimarranno con il cerino in mano le società finanziarie per l’impossibilità a riscuotere. E’ la legge del mercato, a questo stadio dell’Accumulazione, ad ogni angolo del pianeta.

E’ del tutto evidente che a primo impatto il proletariato occidentale viene a essere frastornato e atterrito dall’andamento del mercato borsistico e dal fallimento di grandi banche, società immobiliari, agenzie finanziarie e quant’altro. Ed è altrettanto evidente che i riflessi non saranno limitati ai centomila dipendenti delle compagnie assicurative o agenti di borsa degli Usa. Quello che ci interessa capire è più precisamente il fatto che non ci sarà un rilancio, una ripresa dell’economia su vasta scala, ma che avremo un impoverimento ulteriore - con cadute improvvise e generalizzate - del proletariato proprio nel cuore del Sistema del Capitale e dunque con la possibilità di vere e proprie rivolte operaie e proletarie anche se all’immediato prevale la paura.

 

Il ruolo dei marxisti in questa fase.

Se i grandi organi di informazione sparano titoli sulla caduta dei titoli borsistici e sui rischi di fallimento di importanti aziende e banche nel più grande paese capitalista del mondo, certamente nelle menti giovanili qualche interrogativo passa. E sarebbe estremamente interessante da parte di militanti e compagni che si richiamano al marxismo quale scienza sociale del determinismo, ritrovarsi e discutere di come affrontare sia l’approfondimento della fase sia il modo di propagandare e contro-informare sulle cause e le ragioni della grave crisi. Porre come punto di riferimento polarizzante il criterio, il senso, la logica della Critica dell’economia politica di questa fase, a questo punto dell’Accumulazione. Riuscire a trasmettere a giovani militanti che si interrogano in Italia e non solo, l’inevitabilità di crisi ben più gravi e più generali, non per scoraggiare le energie ma perché solo in presenza di grandi fatti le menti si aprono e si interrogano, solo in presenza di grandi fatti ci sono le sollecitazioni a capire. Certo la paura, all’immediato, del proletariato, non può profondere fiducia nel Comunismo o nella rivoluzione Comunista, ma il punto non è questo, quanto piuttosto il saper indicare – da parte dei marxisti - le cause vere della crisi e del suo fenomeno più appariscente di questi giorni,  il fallimento  di società finanziarie in borsa.

Questo potrebbe essere propedeutico a un intervento in caso di rivolte che inesorabilmente si scateneranno. A partire da queste brevissime considerazioni possiamo affermare che per i Marxisti (la maiuscola è voluta) si tratta di affondare la sonda quanto più in profondità è possibile per carpire i fenomeni tellurici del sottosuolo che in superficie si manifestano con l’attuale “tempesta borsistica” e cominciare a riferirsi alle classi di riferimento con la necessaria convinzione dell’inevitabilità del crollo.  La borghesia non abdicherà a cuor leggero ci mancherebbe, dato il suo livello di irresponsabilità potrà accadere di tutto – per altro ampiamente messo in conto  - ma proprio per questo dobbiamo cominciare a ‘ cercarci come simili ‘ e cominciare a porci come punto di riferimento non fosse altro che per indicare l’altra possibilità oltre alla barbarie, e cioè un proletariato che nella ribellione riesca a riorganizzare nuovi rapporti sociali.

Stiamo a Marx: noti i rapporti economici e sociali tra le classi e noti i loro contrasti, i moti che condussero il potere da quelle feudali a quelle capitalistiche, siamo in grado di stabilire le leggi del passaggio dall’Accumulazione al suo declino e dunque al crollo e dunque ad un  futuro di passaggio del potere dalla borghesia al proletariato e alla distruzione della forma economica del capitalismo.

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Da Marx a Marx
Da Marx a Marx

Autore Michele Castaldo

MODO DI PRODUZIONE E LIBERO ARBITRIO

Marx e il Torto delle Cose

LA CRISI DI UNA TEORIA RIVOLUZIONARIA

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