Alcune brevissime note sull’articolo di Antonio Carlo.

Una fraterna critica la rivolgo al modo di impostare uno scritto infarcito di autoriferimenti che non aiuta il lettore a ….capire. A mia memoria, dei nostri padri - Marx, Engels, Rosa L., Lenin, Bordiga, Groosmann o anche Korsh, Gramsci e quanti altri ancora non avevano questo stile, eppure ne avevano di cose da dire. Ne deduco che espungendo le autocitazioni potrebbe e dovrebbe essere ridotto almeno del 50% il volume del testo. Posso garantire di aver sentito più di un compagno che ha fatto gli stessi rilievi, ma non tutti hanno la sfrontatezza del sottoscritto che dovrebbe invece caratterizzare lo spirito di ogni militante.

Una osservazione di merito, mi trovo abbastanza d’accordo con quello che scrive Antonio Pagliarone e cioè: Si tratta non di definire la crisi, questa ce l’abbiamo sotto gli occhi ma a) da cosa ha origine la crisi, in primis; b) perché la crisi a questo stadio dell’accumulazione del Sistema del Capitale, in secundis; c) perché essa è completamente diversa da quella del 1929 e di tutte le precedenti crisi. Anche se va detto - caro  compagno Pagliarone -  che negli Usa un certo keynesismo finanziario anche se non statale, è stato applicato negli anni precedenti al 2008, ma proprio perché non aveva la forza della riproduzione nel retroterra strutturale – cioè della riproduzione di valore - degli anni trenta ha prodotto più danni di quanti ne supponeva di risolvere.

Scrive Antonio Carlo

Adesso, dunque, esiste un potere privato sopranazionale che ridicolizza il potere statale senza sostituirlo ma paralizzandolo: la finanza mondiale e le IM fanno quello che ritengono più opportuno e ricattano gli Stati come abbiamo visto, per cui chi fa una politica sgradita è letteralmente messo con le spalle al muro e questo avviene anche in USA dove Obama ha dovuto rapidamente rinfoderare le moderatissime velleità di riforma" .

Ora, su questo ci sarebbero da dire due cose: a) che sempre l’economia domina e ridicolizza il potere statale e lo utilizza, tutti gli altri aspetti della vita sociale sono delle subordinate dell’economia; b) che Obama ha dovuto fare marcia indietro rispetto a timidissime riforme perché non è stato supportato da un possente movimento di massa, perlomeno pari a quello che si era attivato per la sua elezione.  Se il movimento di massa rifluisce, avanza il Capitale, è nella legge della dinamica del materialismo dialettico.

Se c’è una caduta tendenziale e sempre di più tendenziale caduta del saggio di profitto e quote di plusvalore e dunque di valore si spostano nel capitale finanziario senza riprodurre più valore, la sola fotografia non basta, dobbiamo riuscire a dire così come Rosa L. seppe dire nel ‘L’accumulazione del capitale’ che la moneta non figlia valore. Il Sistema del Capitale è arrivato al punto in cui cerca di far figliare la moneta, e cosi facendo muore per ….impotenza di fertilità. Formuliamo le domande e cerchiamo di fornire delle risposte il più possibile logiche dal punto di vista materialista:

I)                   Da che cosa è data l’impotenza della fertilità?

II)                 Quali conseguenze può produrre tale impotenza di fertilità?

Alla prima domanda mi sento di rispondere – a lume di naso, come si dice a Napoli – :

* Che un modo di produzione è divenuto Sistema del Capitale di produzione, si è imposto contro ogni altro tentativo a livello ormai mondiale;

* Che uno dei fattori che avevano dato impulso a tale modo e poi Sistema era rappresentato dalle colonie e uno dei fattori che ne sta minando le sue basi è l’emancipazione delle nazioni dal gioco colonialista prima e imperialista poi;

* Che la sottrazione delle nazioni dalla soggezione coloniale e imperialista ha esteso il modo di produzione accrescendo quantitativamente e qualitativamente il meccanismo riproduttivo e questo sta determinando un rallentamento generale dell’accumulazione capitalistica da cui una sempre più tendenziale caduta del saggio di profitto e di conseguenza lo spostamento di valore in settori ibridi dal punto di vista della riproduzione o addirittura improduttivi e dunque infiglianti valore.

* Che tale processo non brucia moneta ma valore che viene sottratto alla possibilità del reinvestimento nella riproduzione di plusvalore e dunque valore e che le conseguenze di questo falò saranno imprevedibili e catastrofiche per l’intero Sistema del Capitale. Si tratta di una legge inesorabile. Le cosiddette tendenze messe in atto sono semplicemente dei paliativi che non scalfiscono minimamente la tendenza generale.

 

Alla seconda domanda va data una risposta un poco più articolata in modo particolare per quanto riguarda il tentativo dei paesi capitalistici maggiori, cioè quelli occidentali e fra essi innanzitutto gli Usa, e cioè:

* viene innanzitutto ad accrescersi la concorrenza fra i maggiori predoni che si cerca di scaricare sui paesi di giovane capitalismo: Libia, Iran, Iraq ancora, Afghanistan, Siria ecc. ma sempre con minore forza – basti pensare che nel 1991 l’Occidente impiegò 500 mila uomini e in 40 giorni ebbe ragione di Saddam Hussein, nel mentre per sconfiggere le truppe di Gheddafi sono stati necesasari dieci mesi, e la Libia ha una popolazione un terzo dell’Iraq.

* Viene a rallentare l’accumulazione, cioè la produzione di valore, questo si riflette anche nella possibilità di spostare quote di plusvalore sulla forza-valore militare, e a differenza che della seconda guerra mondiale, dove tanto gli Usa quanto gli europei avevano i forzieri pieni e una fase-ciclo di straordinario sviluppo dinanzi a sé, oggi i paesi più industrializzati non sanno dove sbattere la testa e si comportano da questuanti nei confronti di più “dinamiche “ economie come quella cinese.

Ciò detto, vale la pena ipotizzare il tipo di prospettiva. Una tesi di talune tendenze “marxiste”  ha sempre rappresentato il capitalismo come un sistema che procede per cicli e che per recuperare il saggio di profitto perduto a causa  della  sovrapproduzione prodotta, fa le guerre, distrugge ingenti forze produttive e si rilancia come sistema. Se così stessero le cose, il capitalismo non avrebbe più fine, l’umanità avrebbe trovato “finalmente” un suo modus vivendi. Siamo all’antimateria, è un modo di analizzare la storia con i piedi per l’aria e la “testa” per terra. Le guerre si sono prodotte da sempre per espansione dell’accumulazione, la distruzione delle forze produttive è stato l’effetto, non la causa. Giovani nazioni hanno soppiantato vecchi imperi, punto. La domanda vera a cui dobbiamo cercare di rispondere è: A QUESTO STADIO MONDIALE DELL’ACCUMULAZIONE, POSSONO LE GIOVANI NAZIONI DISGREGARE I PAESI A CAPITALISMO PIU’ MATURO, CIOE’ USA, EUROPA E GIAPPONE? Possono cioè rilanciare un nuovo e più generale ciclo di riproduzione allargato, di accumulazione e di integrazione dell’immensa massa delle classi proletarie? In questi termini va posta la questione.

Dal mio modestissimo punto di vista, ritengo che tanto la Cina quanto l’India e ancor meno il restante dei paesi asiatici non hanno nessuna possibilità di integrare il proprio proletariato all’interno di un nuovo processo di riproduzione allargato. Resta l’incognita dei paesi latinoamericani, ma da una deflagrazione generale non potrebbero in alcun modo salvarsi, anzi.

La conclusione del “mio” ragionamento, di un compagno che è partito dalle lotte per arrivare alla teoria e che si sforza di capire i termini materiali delle questioni, è che il Capitalismo abbia effettivamente imboccato in maniera definitiva una strada di non ritorno.  Se ne ha potuto rinviare continuamente il suo crollo, lo deve esclusivamente alle sue intrinseche leggi di funzionamento, non certamente alle capacità di filosofi, economisti o peggio ancora di politici. Marx marcò a fuoco la questione  e sintetizzò << Queste forme portan segnata in fronte la loro appartenenza a una formazione sociale nella quale il processo di produzione padroneggia gli uomini e l’uomo non padroneggia ancora il processo produttivo>>. Da ciò lo spartiacque che separa in maniera netta i rivoluzionari da tutto il resto, siano essi in buona o cattiva fede poco fa.

Ne deriva che i rivoluzionari si distinguono nettamente da tutti gli altri perché non corrono al capezzale dell’infermo per suggerirne una terapia salvifica, ma lavorano a rafforzare la convinzione dell’ inevitabilità storica del crollo e il prospettare nella crisi, in questa crisi, alle masse proletarie disorientate, avvilite, smarrite, disgregate - in specie in Occidente -  la soluzione rivoluzionaria di un futuro senza il Capitalismo.  In una ripresa generale della lotta delle masse proletarie, anche in Occidente, emergeranno programma, nuovi dirigenti, e nuovo partito di classe internazionale. Se sapremo essere all’altezza, saremo utili.

Michele Castaldo

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Da Marx a Marx
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Autore Michele Castaldo

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