Necessità di una franca discussione fra compagni di lunga milizia.

A oltre quarant'anni dal mitico biennio 69/70 e dalle strutture alle quali quel movimento diede origine, forse è opportuno riprendere una seria discussione sulla questione sindacale. Purtroppo non è il caso di farla in queste stringate righe, va rimandata ad un approfondimento ulteriore, che è necessario fare quanto prima. Partiamo da una situazione reale, quella che vede coinvolti in prima persona i lavoratori della logistica, cioè i facchini dei vari grandi siti che smistano i pacchi in tutta Europa. Un lavoro brutale e massacrante, svolto per lo più da lavoratori immigrati e perciò maggiormente ricattati e ricattabili, alla mercé di caporali senza scrupoli, associati in cooperative che fanno capo alle alte sfere del famigerato Cooperativismo di centro e centrosinistra. E' del tutto evidente che, in un ambito lavorativo cosi caratterizzato, la moderna schiavitù assume caratteri parossistici, ben oltre ogni più cupa immaginazione. Eppure, i lavoratori, tanto minacciati, tanto ricattati, tanto bestializzati, hanno trovato la forza e il coraggio di lottare per chiedere il rispetto delle più elementari norme lavorative: l'orario di lavoro svolto, pagato regolarmente, e

tutte le voci accessorie relative al contratto nazionale di categoria. Cose che in un paese imperialista, in una moderna democrazia – ahi democràzia!! democràzia !! - si darebbero per scontate, e  invece scontate non lo sono affatto. La lotta di questi lavoratori, in modo particolare quelli del centro smistamento della Ikea di Piacenza,  salì alla ribalta dei maggiori strumenti di informazione nel periodo di novembre del 2012, quando, per protestare contro le inumani condizioni lavorative, furono duramente caricati dai celerini del moderno stato democratico della Repubblica italiana fondata sul lavoro. Avrà contribuito anche un certo patriottismo, contro la multinazionale svedese, dell’italica casta dei pennivendoli, ma tant’è. I lavoratori trovarono nel Si cobas – un piccolo sindacato scissosi dallo Slai cobas – un convinto sostenitore della loro battaglia.  Dunque onore al merito ai compagni del Si-cobas di essersi resi disponibili ad una mini guerra anticapitalista di un settore estremamente debole, precario, complicato e cosi via.

I problemi cominciano proprio quando si tratta di definire il nostro ruolo di militanti, di avanguardia, di comunisti, in rapporto non solo agli interessi dei lavoratori, ma al loro modo di volerli difendere, cioè al loro modo di sentirsi soggetto in campo. Qui si verifica il grande equivoco storico che da oltre 160 anni ci trasciniamo dietro e cioè: I Comunisti, devono tendere a essere i migliori difensori dei lavoratori o i migliori sostenitori della lotta dei lavoratori? Non è una questione di lana caprina, si tratta del vero nodo teorico, politico e pratico da sciogliere alla vigilia di una crisi dai risvolti catastrofici: è bene dirselo, e in modo franco, da compagni come quelli del Si Cobas impegnati in una azione di lotta alle prime avvisaglie del Nuovo Movimento Operaio in Occidente. I rischi di essere risucchiati in un atteggiamento sindacalistico ci sono tutti, indipendentemente dalla volontà dei soggetti, perché i fattori oggettivi sono ben più potenti delle volontà individuali, questo lo dobbiamo sapere. Il cammino è lastricato di bucce di banane, è molto più facile scivolare che tenersi dritti, perché la storia della lotta di classe si presenta sempre come una VITA, ovvero Violenta, Improvvisa, Tremenda, Anonima.

Leggiamo con molta calma quello che scrive il compagno Aldo Milani  a seguito dello sciopero improvviso dei lavoratori a Bologna:

Comunicato-sullo-sciopero-in-SDA

Alle ore 21 i facchini della cooperativa Romea (consorzio UCSA) operanti presso i magazzini SDA di Bologna hanno incrociato le braccia.   Lo sciopero è iniziato dopo diversi comunicati e tentativi sindacali finalizzati ...a evitarlo.
Se sullo sfondo di questo ennesimo sciopero c'è una trattativa nazionale che vede coinvolte tutte le cooperative che operano presso gli hub di Bologna, Milano e Roma, finalizzate a concretizzare alcuni aspetti economici basilari relativi ai passaggi di livello, agli scatti di anzianità e agli istituti contrattuali (in totale "ballano" aumenti salariali per 2000€ annui ed una media di 2500€ annui di mancate retribuzioni pregresse), la scintilla è scoccata per via di una trattenuta forzosa di 150€ a testa con cui la cooperativa Romea intende scaricare sugli operai il costo di una penale imposta da SDA per ripararare il danno derivante dallo sciopero del 22 dicembre “

Questa, la prima parte del comunicato del Si cobas.


“ Di fronte allo sciopero di Bologna, immediatamente, i facchini di Carpiano comunicano ufficialmente che qualsiasi camion proveniente da Bologna in serata non verrà lavorato, mentre a Roma, dove fanno capolino un'altra serie piuttosto cospicua di problemi ancora irrisolti (dai part-time forzati, alla parte di pregresso pattuita e non ancora saldata, passando per le provocazioni fisiche dei caporali), si attende con ansia il momento di unirsi nuovamente alla lotta”

Questa, è la seconda parte del comunicato.

Ora, attenzione bene a quanto segue:

 

“ Se in altri tempi una situazione così favorevole alla lotta era tanto auspicabile quanto lontanamente immaginabile, oggi porta alla luce problematiche nuove, ancor più scottanti e di non facile soluzione. Le convulse consultazioni telefoniche di queste ultime ore sono momentaneamente giunte alla conclusione che, prima di scatenare un'offensiva "definitiva" per entrambe le parti in campo, sia opportuno attendere le risposte che dovrebbero giungere entro sabato 2 febbraio.

Sapranno i facchini attendere quel momento? Per quanto riteniamo opportuno percorrere questa strada, anche alla luce di una prospettiva di lotta che va aldilà della pur importante filiera SDA, non saremo certo noi a mettere i bastoni fra le ruote alla sacrosanta voglia di riscatto che la classe operaia immigrata sta mettendo in campo nel settore della logistica.  in campo nel settore e della logistica.
La palla passa così nel campo del fronte aziendale e padronale. Starà a loro valutare il prezzo di una pacificazione degli animi operai.

Coordinamento nazionale S.I. Cobas - delegati SDA
(Milano-Bologna-Roma)

Ecco i rischi, ecco le bucce di banane su cui si rischia di scivolare. Allora si impone una seria riflessione. Che vuol dire “ se in altri tempi una situazione cosi favorevole alla lotta era tanto auspicabile …”? – che oggi non è auspicabile? E per quali motivi?  “ quanto lontanamente immaginabile “? – e perché mai quanto lontanamente immaginabile? No, decisamente no! carissimi compagni. A voi va il merito di aver appoggiato fin dall’inizio la lotta di questa categoria di lavoratori, se questi ad un certo punto vi sorprendono, vuol dire che avete fatto male i conti con la crisi, le necessità del capitale in questa crisi e le necessità dei lavoratori scaturenti dalla compressione del torchio del mercato capitalistico. Alla nostra età, visto che parliamo di militanti attempati, dovremmo sapere che la lotta operaia e proletaria ha sorpreso i cartisti, i membri della Prima Internazionale, un certo Lenin e via di questo passo, per una ragione molto materialisticamente semplice: la condizione operaia può essere capita solo e soltanto da chi è operaio, da chi è realmente sfruttato e vive in prima persona l’oppressione e risponde di riflesso agente a tale oppressione e sfruttamento. Dai cartisti in poi lo sfruttamento lo si vive di riflesso e si auspica che gli oppressi lottino sotto la direzione di  chi lo vive di riflesso, ecco perché le cosiddette avanguardie del proletariato, cioè quelli che si rifanno alla tradizione marxista, vengono sorpresi.  Ma vengono sorpresi tutti, cioè tutti coloro che vivono di riflesso il lavoro operaio, quando non vivono proprio del sudore operaio. Il dramma non sta nel fatto di essere sorpresi, ma di scoraggiarsi di tanto ardire da parte dei lavoratori, quasi che i lavoratori debbano chiedere il permesso al sindacato: se, come  e quando scioperare.  Non è così che funziona, perché non bisogna tendere a essere i difensori dei lavoratori, ma i sostenitori della loro lotta, questa è la differenza che passa tra il riformismo operaio, tanto politico quanto sindacale, e quello rivoluzionario. Liberissimi di “scegliere” di fare i sindacalisti, cioè i difensori dei lavoratori, ma nella chiarezza, e dicendo alle giovani generazioni, suscitate all’entusiasmo della lotta operaia, che questo si intende fare. Altra cosa significa essere sostenitori delle lotte dei lavoratori: vederli cioè in quanto soggetto anticapitalista in una fase di crisi acuta. Non c’è una via di mezzo, non si può essere l’una e l’altra cosa. O si è sindacalisti difensori dei lavoratori o si è attivisti sostenitori dell’azione di classe del proletariato.

Scrivono i compagni nel loro comunicato:

“ … prima di scatenare un'offensiva "definitiva" per entrambe le parti in campo, sia opportuno attendere le risposte che dovrebbero giungere entro sabato 2 febbraio. “

E’ dalla notte del 3 gennaio che a Roma i lavoratori attendono l’incontro “risolutivo”, e da attempati quali siamo, dovremmo ben sapere che il tempo non gioca a favore del fervore operaio, dell’iniziativa proletaria, anzi: è il terreno del padrone, che ha tutti i mezzi per intimidire, ricattare, corrompere e cosi via.  Cosa vuol dire “Sapranno i facchini attendere quel momento ?” – che scarichiamo sui lavoratori la responsabilità di una loro azione autonoma? Che noi – in quanto sindacato - siamo responsabili nel mentre i lavoratori non lo sono perché non lo possono essere? Ma poi, carissimi compagni, che vuol dire “ … non saremo certo noi a mettere i bastoni fra le ruote alla sacrosanta voglia di riscatto che la classe operaia immigrata…”. Il punto non è di non mettere il bastone fra le ruote, ma di incoraggiare la lotta, perché noi siamo i sostenitori della lotta operaia, gli istigatori del loro risveglio. Non è in discussione la buona fede dei militanti del Si-cobas o di altre sigle del sindacalismo di base, ma la franchezza deve caratterizzare i rapporti in una fase che si va aprendo e che presenta esiti imprevedibili.

E’ in preparazione in questo periodo il congresso nazionale della Usb, con la parola d’ordine “Rovesciare il tavolo!”, ovvero c’è ben poco da contrattare. Per questa organizzazione va fatto lo stesso discorso, rivolgendo loro la madre di tutte le domande: perché i loro militanti non sono stati presenti alle due azioni di sciopero dei facchini alla Sda di via Corcolle a Roma? – la risposta non può e non deve essere ‘…perché non sono nostri tesserati, non avevamo tesserati in quell’ambito lavorativo ‘. Ecco il punto nevralgico della questione. Se i lavoratori mostrano volontà di lotta, la discriminante per appoggiarli non può né deve essere la tessera sindacale. Se ci comportiamo in questo modo, non stiamo più in avanti dei lavoratori, ma più indietro, molto più indietro. Se ci facciamo la guerra per il tesseramento, non siamo delle avanguardie, ma ci poniamo sul mercato delle sigle sindacali, di una fra le altre, in quanto difensori dei lavoratori, non in quanto loro sostenitori.

Dovrebbe scattare invece la molla dell’appoggio incondizionato, dovremmo moltiplicare le nostre iniziative, amplificare la loro voce, sostenerli con tutte le nostre forze, ed invece succede – sì, purtroppo succede – che si pensa innanzitutto a procurare le disdette ad altri sindacati e a fare nuovi tesserati, fin dalle primissime ore dello sciopero, come a dire ‘ti appoggio a condizione che ti tesseri con il mio sindacato’. A questo punto, visto che molti compagni del sindacalismo di base si richiamano a Lenin, bene, vanno dette a riguardo poche e chiare cose:

1) In autunno inverno del 1905 i lavoratori spontaneamente organizzarono gli scioperi e i primi soviet: i bolscevichi li sostennero.

2) Gli operai, a febbraio del 1917, scesero spontaneamente in sciopero, per le 8 ore, contro la fame e la guerra.  I bolscevichi si misero alla loro testa;

3) Lenin, tra luglio e agosto del 1917, non aspettò l’Assemblea Costituente per decidere di appoggiare le rivendicazioni e la lotta dei mugichi che occupavano le terre, nel mentre i dirigenti, socialisti rivoluzionari, stavano nel governo e aspettavano le decisioni dell’Assemblea Costituente;

4) I mugichi, si tesserarono in massa con i bolscevichi solo dopo che questi dichiararono il pieno e incondizionato appoggio alle loro iniziative.

Fu in questo modo che crebbe il bolscevismo e si disgregarono i Socialisti Rivoluzionari.

Non si venga a sostenere in alcun modo che un conto è il Partito e  ben altra cosa è il sindacato, sarebbe come mentire a sé stessi. C’è un unico modo per combattere – perché, sia chiaro, vanno combattuti - i sindacati maggiormente rappresentativi, perché contribuiscono a sedare i già troppo sedati lavoratori - e questo è dato dall’azione diretta dei lavoratori che noi dobbiamo senza condizione sostenere. Se il nostro approccio è unitario piuttosto che autoreferenziale, invogliamo anche i giovani militanti che vengono destati e attratti dalla lotta degli sfruttati, così come è successo in qualche circostanza proprio con la lotta dei facchini della logistica.

Per quanto poi attiene alla bravura al tavolo delle trattative, sgombriamo anche qui il campo dagli equivoci. Essa, la trattativa, serve solo a sanzionare un rapporto di forza diverso che si è determinato sul campo di battaglia. Il più che bravo trattativista, quell’Henry Kissinger, segretario di stato americano, alla stampa che gli rimproverava di essere troppo concessivo nei confronti dei vietnamiti rispose “ Non si può guadagnare al tavolo delle trattative quello che si è perso sul campo di battaglia”. Non si vuole affatto negare la necessità di non tradire i lavoratori al tavolo delle trattative, di non fare accordi capestro, di non disporsi alla corruzione e cosi via. Questa è la conditio sine qua non, è il vade mecum del compagno, del militante, del comunista; ci mancherebbe. Ma non è il tavolo delle trattative che decide, e neanche un diversa sigla sindacale, ma un diverso atteggiamento “sindacale”, che è tutt’altra questione.

Michele Castaldo

febbraio 2013

 

 

Le lotte dei lavoratori della logistica e… i sindacati di base

Posted on febbraio 1, 2013 by contromaelstrom

L’importante lotta che si sta sviluppando in questi ultimi mesi nel settore della logistica Hub (facchinaggio), da Milano, a Bologna, a Roma e in altre località, un settore di classe con altissima composizione di lavoratori migranti, pone l’urgenza al movimento di rapportarsi direttamente con questa lotta, partecipando ai picchetti agli incontri e alle iniziative connesse. Pone altresì l’esigenza non più rinviabile di un dibattito franco e aperto sul ruolo dei sindacati di base e sui percorsi dell’autorganizzazione della classe.

Riporto questo scritto del compagno Michele Castaldo, come contributo a questo dibattito  sulle lotte dei lavoratori della logistica (Hub- facchinaggio ) e sul rapporto del sindacalismo di base (in questo caso il SI-Cobas) con le lotte in corso in questi giorni. Sono considerazioni che condivido pienamente, soprattutto là dove si critica un modo di “fare sindacato” che rischia di prestare più attenzione alle tattiche vertenziali e trattativistiche che non al decollo della lotta autonoma e autorganizzata di settori di classe.
I percorsi dell’autorganizzazione della classe andranno avanti soltanto se i lavoratori, in prima persona, si riapproprieranno – in modo collettivo- della capacità di valutare i rapporti di forza tra le classi, lo stato del movimento di lotta, gli obiettivi da raggiungere e il rafforzamento dell’organizzazione operaia, decidendo -essi stessi- che andamento dare alla lotta. In questo percorso i compagni, i comunisti, hanno il compito di accompagnare stimolando e sollecitando la “riappropriazione” da parte dei lavoratori autorganizzati della “scienza dei rapporti di forza” non certo quello di attribuire per l’eternità, alle proprie sigle, il ruolo degli “esperti” cui i lavoratori dovrebbero chiedere lumi “se” e “quando” lottare, “se” aspettare oppure no le proposte del padrone.

Salvatore Ricciardi

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Da Marx a Marx
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Autore Michele Castaldo

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