Avvertenza: scrissi queste note e le pubblicai sul mio sito oltre 11 anni fa. Le ripropongo rispetto al nuovo massacro da parte dello Stato di Israele nei confronti del popolo palestinese perché sono più attuali che mai.

 

                                                                               La storia è radicale e percorre parecchie fasi,

                                                                                quando deve seppellire una figura vecchia “     

                 

   È difficile riuscire a ragionare di fronte a tanta crudeltà, alla disparità delle forze in campo tra lo stato di Israele e la resistenza palestinese che si esprime in questa fase nel gruppo islamico di Hamas. Mai la storia è uguale a sé stessa, bisogna guardare ai fatti senza sovrapporre ad essi schemi di precedenti cicli storici.  L’odierno Stato di Israele non è la comunità religiosa o etica religiosa della diaspora, del martirio o dell’olocausto. La storia macina e modifica ogni cosa, i rapporti fra gli uomini, le comunità, le nazioni, gli imperi e cosi via.

   Molti ebrei che emigrarono tra la seconda metà del 1800 e la

prima decade del 1900 dall’Ucraina, dalla Polonia, dalla Germania, dalla Russia verso gli Stati Uniti d’America, ebbero un ruolo importante nello sviluppo delle lotte operaie e proletarie di quel florido paese, furono artefici della costituzione di società di mutuo soccorso, di sindacati, di partiti socialisti e comunisti. Molto spesso furono veri e propri passaparola fra le lotte operaie che si sviluppavano negli States e le prime organizzazioni operaie in Ucraina, in Russia, nella stessa Germania. Furono artefici di un filo conduttore che trasmetteva le tensioni da un continente all’altro, oltre ad esprimere – come ben noto – alcune figure carismatiche del movimento operaio mondiale come Marx, Rosa Luxemburg, Poul Levy, Leone Trotzky e tanti altri.

   Tra il 1890 e il 1950, circa tre generazioni di ebrei per il “culto” della cultura, con grandi sacrifici costituirono un ceto medio professionale che negli anni è stato assorbito nei gangli del potere economico, politico, finanziario, militare, scientifico, culturale ecc. ecc.

Tra la prima e la Seconda guerra mondiale furono presi di mira e incoraggiati a cercarsi una “patria” incontrando in questo anche i favori di chi puntava a costituire uno stato ‘ebraico’ non propriamente per fini religiosi, o esclusivamente “etico”.  « Ma se verrà un giorno in cui il nuovo popolo compirà in Palestina progressi tali da mettere alle corde la popolazione del paese, allora non cederanno tanto facilmente il loro posto. L’arabo, come tutti i semiti, ha una mente acuta ed è molto intelligente » scriveva Ahad Ha’am il fondatore del sionismo spirituale nel 1891 dal suo ritorno da un viaggio in Palestina. Nazismo e fascismo svolsero la parte del carnefice a tal fine. Lo stalinismo non si sottrasse all’ incoraggiamento con munifici finanziamenti alla fine della Seconda guerra mondiale.

   Il 1948 e la costituzione dello Stato di Israele sancisce semplicemente un percorso incubato in oltre 50 anni, dove convergono due necessità: 1) una patria per il popolo ebraico; 2) un avamposto occidentale nell’area. Sono definitivamente crollati vecchi imperi e con due guerre vittoriose alle spalle l’Occidente e per esso in primis gli anglo-americani, ha interesse a salvaguardarsi del prezioso oro nero, il petrolio, quale materia prima per la nuova fase dell’accumulazione.  Una sorta di percorso parallelo viene portato avanti dagli inglesi e successivamente dalle due potenze maggiormente vincitrici dei due conflitti mondiali sull’altra sponda della penisola arabica, a partire dal protettorato da parte della Gran Bretagna del Kuwait nel 1899 e via via con la crescita dell’ingordigia man mano che procedevano le scoperte di nuovi pozzi petroliferi avviate dalla Anglo-Persian Oil Oompany e dalla statunitense Gulf Oil Corporation nel 1934, per arrivare al giugno  1961 con la dichiarazione da parte dell’Inghilterra  di “indipendenza” del Kuwait, ovvero quisling anglo-americano e dunque avamposto finanziario per tutto l’Occidentale nell’area.

   Vengono a essere in questo modo costituiti due avamposti uno di ordine militare, lo Stato di Israele, l’altro di ordine finanziario, lo Stato del Kuwait, sulle due sponde della penisola arabica su di un bacino immenso di petrolio. Passa perciò e di parecchio in secondo piano una delle ragioni che favorirono la costituzione dello Stato di Israele, cioè quello di assegnare una patria, uno Stato, una nazione agli ebrei e prende il sopravvento smisuratamente l’altra ragione, la necessità dell’avamposto politico militare nell’area contro la proiezione dei popoli di inserirsi paritariamente nella fase di sviluppo dell’accumulazione e – preventivamente – contro la ribellione delle masse palestinesi e arabo islamiche. Il rapporto fra le due ragioni è esattamente proporzionale al rischio di incolumità da parte degli abitanti di Israele da un lato e le immani distruzioni che lo Stato di Israele sta operando nella striscia di Gaza in questi giorni per l’altro lato. Un passaggio di ruolo che Asor Rosa definì da « vittime a carnefici ». A dimostrazione di come questo modo di produzione non consente vie di mezzo.

   Due popoli, due stati? Si tratta di una ipocrita menzogna portata avanti perlomeno dal 1967, perché a fronte di insediamenti e di colonizzazione da parte di cittadini dello Stato di Israele in territorio palestinese, non si è mai fatto un solo passo verso una reale costituzione di uno Stato palestinese.  Di chiacchiere se ne sono dette e scritte a montagne.

Ora, si mena scandalo – in ambienti di sinistra – perché l’Europa non sarebbe in grado di saper fare da cuscinetto o saper fare la voce grossa nei confronti di anglo-americani e israeliani. A tutti loro risponde Feltri dal suo  Libero’ « La stella di David difende se stessa e l’Occidente.  Hamas voleva e vuole la guerra, e allora guerra sia e vinca il più forte ». Una posizione di destra estrema? L’Italia partecipa – con il precedente governo di centrosinistra e oggi con quello di centro destra – al “pattugliamento”, cioè all’embargo contro Gaza. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Guterres « ha chiesto l’apertura delle frontiere della striscia di Gaza per permettere ai palestinesi di lasciare il teatro delle operazioni militari. Insomma i palestinesi devono poter lasciare la striscia di Gaza e trovare la sicurezza in altri paesi, conformemente al diritto internazionale ».   Altrimenti detto: lo stato di Israele può continuare a bombardare Gaza e fare terra bruciata   permettendo alle masse impaurite e terrorizzate dei palestinesi di fuggire, e consentire in questo modo alle strutture militari e politiche di Israele di arrivare fino al mare.  Cosi stanno realmente le cose, lo Stato di Israele difende sé stesso e l’Occidente, gli interessi imperialistici nell’area, l’oro nero, specie in una fase di crisi acuta come quella attuale, molto e di gran lunga peggiore di quella del 1929.

 

Una colpevole rimozione.

In tutta la sinistra si sprecano lacrime per i morti di Gaza, si discute delle atrocità dei massacri, molto spesso allo stesso modo del pietismo cattolico, senza mai citare la questione di tutte le questioni: del perché di uno Stato quale quello israeliano al 5° posto nella gerarchia militare mondiale e cioè della salvaguardia dello sfruttamento petrolifero dell’area. Si tratta di una colpevole rimozione che mentre va ad ingrossare le file della schiera  delle ipocrisie sulla duplice violenza da entrambe le parti – poco più poco meno questo è il menar danza della stampa nostrana – non si pone in evidenza il vero nodo della questione imperialistica nell’area: lo sfruttamento dell’oro nero e la necessità di sottrarlo ai loro legittimi proprietari di cui i palestinesi ne rappresentano una parte e perché cacciati dalle loro terre, quella più esposta, più sensibile, più repressa, di conseguenza più combattiva. Sicché il coro di pietisti funge da utile idiota alla propaganda imperialistica borghese borghese che a sua volta – mentendo sapendo di mentire – tenta di far  risalire le cause del conflitto a supposte origini antropologiche di due etnie in guerra che non riescono a trovare un accordo e che causa forza maggiore il più debole è costretto a soccombere alle leggi del più forte anche perché continuamente provocato con la sua insorgenza e punture di spillo, con inconcludenti rivolte, con atti terroristici, con impossibili sfide, con lanci di razzi e cosi via.

   Posta nei termini in cui viene a essere posta la questione, per i palestinesi non solo non ci sarebbe futuro, ma addirittura farebbero bene a sottomettersi allo stato di Israele e disciplinarsi alle sue leggi.

   I marxisti pongono in altro modo la questione e cioè: posto che una delle due ragioni – ammesso e non concesso che ci sia mai stato parità di peso – abbia preso il sopravvento sull’altra, cioè quella militare quale avamposto dell’imperialismo occidentale nell’area mediorientale, dunque ‘ubi maior minor cessat ‘, sull’altra, quella di dare una patria, una nazione agli ebrei, a questo punto i palestinesi e con loro le masse arabe islamiche, non si trovano di fronte la necessità di una patria per gli ebrei, ma uno Stato militare quale avamposto dell’Occidente. Se dunque la religione è divenuta non più l’espressione di una comunità alla ricerca di una nazione, ma la ragione di uno Stato al servizio del Dio Capitale e della parte più forte, potente e opprimente di esso, se ne deduce che c’è un’unica possibilità che i palestinesi riconquistino i loro territori: una messa in discussione degli equilibri dell’imperialismo rispetto all’intera regione e se questo dovesse dire messa in discussione dello  Stato di Israele e fraternizzazione di arabo-islamici-ebrei non menerebbe scandalo alcuno. Si tratta di un percorso obbligato del processo storico. Va detto in modo perentorio: è transitorio il Sistema del Capitale, sono transitori i suoi strumenti di dominio, è transitorio allo stesso modo lo Stato di Israele. Di conseguenza i militari possono anche arrivare al mare e indurre all’evacuazione totale delle masse palestinesi da Gaza in una operazione criminale come qualche “illustre” precedente storico, ma il destino dello Stato di Israele è segnato.

 

Scontro di civiltà?

Una tesi in voga negli Usa e non solo, propinata da Samuel P. Huntington, secondo cui l’Islam fungerebbe quale affastellato di una visione del mondo e dei rapporti fra gli uomini in maniera sopranazionale, porrebbe in questo modo in essere una identità da cui arriverebbe il pericolo per l’Occidente. Tradotto e volgarizzato vorrebbe dire che le masse arabe - islamiche di intere aree geografiche si sarebbero ribellate all’Occidente identificandolo quale oppressore e sfruttatore delle proprie risorse e responsabile perciò della propria miseria. Non si tratta di due civiltà che si scontrano, ma di uno scontro tra Capitale – con le sue leggi di funzionamento – e lavoro, con le sue imprescindibili necessità.

E’ difficile credere – almeno allo stato delle cose – che l’Islam possa rappresentare una Nuova Internazionale Comunista, se questo avesse voluto intendere Huntington, perché i valori e i programmi fondanti dell’Islam non pongono in essere la necessità del superamento delle leggi dell’accumulazione del capitale, non pongono cioè in discussione il Capitalismo quale Sistema, ma semplicemente si rifanno ad una necessità di una più equilibrata re-distribuzione delle risorse seppur collocando nell’Occidente le idrovore che drenano per concentrare e centralizzare tutta la ricchezza del sottosuolo. 

L’Islam coglie in questo l’effetto, non la causa che consiste nelle leggi stesse del modo di funzionare del Sistema del Capitale. A cosa porta una simile impostazione? A ricercare non lo scontro generale di tutti gli oppressi al sud ed a nord del pianeta contro il Capitale, ma alla ricerca di soluzioni nazionali o di area in competizioni fra loro. Oggi viene attaccata Gaza, e il Sud del Libano con gli Hezbollha non ce la fanno a scendere in aperta guerra contro Israele perché sono ancora a leccarsi le ferite per l’aggressione di due anni fa. Stesso discorso in Cisgiordania o nei campi profughi della Siria. La stessa Iran, se spara ad alzo zero contro la presenza di Israele nell’area mediorientale cerca di ritagliarsi un ambito nel mercato globale e dunque si guarda bene dall’intraprendere una vera e propria guerra contro la stella di David.  Posta in questi termini la questione, per quanto eroiche possano essere – e lo sono – le resistenze come quella palestinese, dei campi profughi libanesi, irachena, afgana e cosi via, senza una decisa rottura da parte delle masse proletarie qui in Occidente col proprio capitale, diventa sempre più disperata e impotente la lotta delle masse dei paesi oppressi dall’imperialismo relegate in un impotente isolamento.

Proprio per questo chi si rifà lealmente alla lotta degli oppressi non solo non può temere l’Islam ma – viceversa  - va ad essa sottratta la bandiera della lotta degli oppressi in una prospettiva generale di lotta contro l’intero sistema sociale del capital oggi sempre più in crisi.

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Da Marx a Marx
Da Marx a Marx

Autore Michele Castaldo

MODO DI PRODUZIONE E LIBERO ARBITRIO

Marx e il Torto delle Cose

LA CRISI DI UNA TEORIA RIVOLUZIONARIA

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