Sta facendo molto rumore il cosiddetto caso Cospito: i poteri dello Stato si rimbalzano le responsabilità, i partiti politici si azzuffano, il governo di centro-destra o destra si compatta, la cosiddetta sinistra va allo sbando e con essa anche il cosiddetto estremismo di sinistra, mentre gli anarchici tendono a coalizzarsi. La questione che sta facendo tanto discutere è la condizione del carcere duro del 41 bis. In un bailamme del genere riuscire a raccapezzarci qualcosa è abbastanza difficile per chi vorrebbe tenere la barra dritta di una visione anticapitalistica, che vuol dire antisistema, in una fase di per sé molto complicata. Ma, come dire, è la storia che impone delle divaricazioni.

   Chiariamo perciò da subito che se la questione si ponesse nei termini di schierarsi, con lo Stato o con gli anarchici, non ci sarebbe dubbio alcuno a stare

contro lo Stato che interpreta le leggi del capitale contro gli sfruttati, gli emarginati e gli immigrati per salvaguardare l’accumulazione. Questo in primis, in secundis da sempre l’oppressione e lo sfruttamento ha provocato schegge di ribellioni individuali che spesso sono state teorizzate come concezione anarchica. Dunque da una parte c’è il potere costituito e dall’altra le espressioni di riflesso agente a un dominio ritenuto a giusta ragione oppressivo. Pertanto chi non si rivede nell’ordine costituito è immediatamente attratto da chi in un modo o nell’altro lo combatte. Ovviamente – questo è un punto dirimente – si è sempre disposti a sostenere la causa di chi viene represso, come nel caso di Sacco e Vanzetti negli Usa o di Pinelli nel ’69, mentre si è titubanti di fronte ad atti e gesti cosiddetti terroristici, ovvero di piccoli attentati che però vengono ingigantiti e utilizzati dal potere costituito per scoraggiare ogni tipo di mobilitazione sociale sul problema che causa l’atto “terroristico” o anarchico. E’ il caso di Alfredo Cospito, che nella sua visione di anarchico ha l’azione esemplare per richiamare l’attenzione su problemi come il nucleare, la guerra o il carcere duro del 41 bis. 

   La domanda che ci poniamo è: ma veramente un Alfredo Cospito farebbe paura a uno Stato democratico? E che Stato democratico sarebbe se temesse attentati come quelli commessi da Alfredo Cospito? Suvvia, siate seri. Farebbero paura a tal punto le sue indicazioni ad altri anarchici all’esterno del carcere di compiere attentati tanto da chiuderlo al 41bis? Con tutti gli strumenti di controllo di uno Stato moderno un individuo come Cospito sarebbe così potente da sottrarsi e suscitare chissà quali rivolte e attentati? C’è qualcosa che non quadra, signori. 

   Premesso che nessuno può consigliare a un altro come comportarsi, perché l’individuo è mosso da necessità e sentimenti, dunque permeato da quel che lo circonda, secondo le proprie sensibilità, sicché solo i presuntuosi possono pensare di sviluppare o modificare la coscienza delle persone attraverso la cosiddetta ideologia, astrazione metafisica del tutto vacua e insignificante. Entriamo allora sul terreno specifico di quanto sta accadendo a Cospito e la sua giusta lotta contro lo stato di detenzione del 41bis.

   Va ricordato che la misura detentiva ulteriormente restrittiva come quella del 41bis fu istituita come provvisoria contro i capi mafiosi a seguito di stragi da loro compiute nei confronti di magistrati e uomini dello Stato. Questo, si diceva, per impedire ai capi mafiosi di comunicare con l’esterno e indurli alla collaborazione con i poteri della magistratura. Poi lo Stato, in previsione di futuri scenari sociali davvero foschi, lo ha esteso ai reati per associazione politica a scopi “eversivi”.

   Ora Alfredo Cospito era ed è lontano anni luce dagli ambienti e apparati mafiosi, ma lo Stato lo sta trattando alla stessa stregua non per quello di cui è responsabile, ma per quello che “potrebbero provocare” le sue esortazioni rivolte agli anarchici all’esterno del carcere. Insomma lo Stato democratico, che mena vanto per la forza della democrazia, la Costituzione, le sue leggi, perché alla base ci sarebbe un sistema produttivo che garantirebbe benessere, a un certo punto ha paura dei possibili attentati ispirati dal carcere da Cospito e lo pone al 41bis. Cospito si ribella, e giustamente, e non avendo all’esterno una forza mobilitante capace di sostenere la sua causa, decide di iniziare lo sciopero della fame. Un’azione nobile, un gesto estremo di autodistruzione contro una misura ignobile.

   A un certo punto Alfredo Cospito rivendica l’eliminazione del 41bis, in quanto misura inumana, per ogni detenuto in questo stato. E nella sua rivendicazione viene sostenuto e incoraggiato dai mafiosi detenuti al 41bis. La destra al governo coglie la palla al balzo ed equipara la nobiltà della rivendicazione di Cospito all’incoraggiamento che gli arriva da ambienti molto poco nobili, e trova in ciò motivo di sostegno alla propria azione repressiva contro l’anarchico e gli anarchici. Insomma con una fava coglie due piccioni. C’è allora qualcosa che non quadra.

   Lo Stato usa strumentalmente il suo potere per difendere le ragioni dei più forti nei confronti dei più deboli, ma noi non possiamo comportarci allo stesso modo dello Stato, equiparando lo stesso diritto per reati diversi. Anche perché mentre i grandi mafiosi hanno fior di avvocati e possibilità di corrompere politici e aggirare le leggi, noi no.

   Tanto è ciò vero che nessun mafioso è sceso in sciopero della fame per sostenere l’abolizione del 41bis insieme ad Alfredo Cospito, mentre questi si è fatto carico anche della loro condizione. Questo non va bene, perché noi non vogliamo essere utilizzati come utili idioti da parte dei poteri dello Stato e dei mafiosi. È giusto e necessario lottare perché Alfredo Cospito venga tolto dal 41bis, ma se i mafiosi vogliono lottare perché questo sia eliminato, scendano in sciopero della fame o altre azioni di lotta, senza utilizzare la nostra lotta antisistema.

   Ora, se Alfredo Cospito, stando in isolamento senza che all’esterno delle carceri si sviluppi una mobilitazione degna di questo nome, si fa carico di una battaglia comune contro il 41bis, dall’esterno delle carceri noi altri che siamo in libertà non possiamo raccogliere la sua rivendicazione, perché parliamo di reati diversi a scopo diversi e un diritto eguale non deve essere applicato per condizioni diseguali. Chiarisco oltremodo: anche il più delittuoso dei reati terroristici contro il sistema capitalistico non può essere messo sullo stesso piano di quelli filo-sistema o integrantesi nel sistema. E per essere più esplicito preciso: il rapimento di Aldo Moro è un episodio completamente diverso da quello della strage di Piazza Fontana del 1969 a Milano alla Banca dell’Agricoltura, di piazza della Loggia a Brescia nel 1974, o della stazione di Bologna del 1980, o anche dell’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino.  Tutti atti delittuosi, ma moventi da cause e obiettivi completamente diversi.

   Uno, il sequestro di Aldo Moro e l’uccisione della scorta, muoveva da intenti di una comunità che si rivede nelle necessità di oppressi e sfruttati, mentre tutti gli altri muovono da interessi in difesa del sistema del capitale e dunque contro gli oppressi e sfruttati. Lo Stato difende lo status quo, dunque non è imparziale, ma difende il diritto eguale fra condizioni diseguali. Il mafioso muove da interessi particolari e individuali, l’anarchico o il terrorista di sinistra è mosso da una causa comune, cioè di una comunità che si sente oppressa dal sistema del capitale.

   Non a caso i militanti delle Brigate rosse sono finiti tutti arrestati e fatti marcire in carcere, mentre delle stragi di Stato, e non solo di quelle più eclatanti, ma anche di quelle che passano per disastri fortuiti, non si trovano mai i colpevoli. È il modo di applicare lo stato di diritto uguale da parte dello Stato.

   Giusto per non essere astratto, in Sicilia la mafia – fin dai tempi di Giuliano e Pisciotta – sparava e uccideva i comunisti che difendevano i contadini poveri che lottavano per la terra. E Peppino Impastato fu atrocemente assassinato, poi posto sui binari e fatto travolgere dal treno addirittura per farlo sembrare un suicidio. Non solo un delitto atroce, ma un segnale inviato a chi si batteva contro la mafia.

   Come si fa a chiedere di applicare lo stesso principio di libertà per gli uni, anarchici e “terroristi” di sinistra, da un lato, e mafiosi, dall’altro lato, come leggiamo in questi giorni su cartelli « Liberi tutti » portati nei cortei da parte di alcune compagnerie? Sveglia ragazzi! Stiamo entrando in una fase molto complicata del modo di produzione capitalistico che divarica sempre di più. E sempre di più siamo chiamati a difendere la nostra parte, le nostre convinzioni, le nostre rivendicazioni, abbandonando espressioni mistificatrici e paroloni vuoti e roboanti.

     All’obiezione « Ma noi aspiriamo a una società senza galere », si tratta certamente di un nobile ma astratto sentimento, mentre siamo chiamati a rispondere con risolutezza al fatto che non stiamo discutendo di un’idea astratta contro un’altra idea astratta, ma di una società storicamente determinata che discrimina e criminalizza chi lotta contro la povertà e le ingiustizie e che usa il diritto uguale per salvaguardare i potenti. I mafiosi si battono per divenire potenti, si tratta perciò di concorrenza “sleale” nei confronti di potentati economici ritenuti “leali”, i quali vengono tutelati dal diritto uguale interpretato dalle istituzioni dello Stato. È una guerra fra bande, ma niente a che vedere con le necessità della povera gente e in modo particolare degli immigrati che vengono trattati al di sotto di come si trattano le bestie, e spesso dietro aziende agricole che sfruttano la mano d’opera di colore c’è la malavita organizzata, come è successo nella Logistica. È questa la realtà alla quale ci dobbiamo rapportare e non alla difesa del diritto uguale costituzionalmente garantito. 

   Se la sinistra storica, a causa della frantumazione del proletariato occidentale, si è ormai definitivamente appiattita sul diritto borghese, assumendo le disuguaglianze sociali come fattori ineliminabili della storia dell’umanità e non possono in alcun modo essere superate, facciano pure, ma chi è schierato contro questo sistema non può in alcun modo rivendicare il diritto uguale di fronte a disparità tanto marcate.

   Non abbiamo la forza di opporre un movimento di massa per far togliere dal 41bis il povero Alfredo Cospito o altri compagni domani? Ne prendiamo atto, non si può sempre vincere. Ma certamente non  possiamo prendere in carico anche la causa degli individui delle organizzazioni criminali che riguardano, come il caso in specie, il 41bis a loro applicato. Se la vedessero con lo Stato. 

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Da Marx a Marx
Da Marx a Marx

Autore Michele Castaldo

MODO DI PRODUZIONE E LIBERO ARBITRIO

Marx e il Torto delle Cose

LA CRISI DI UNA TEORIA RIVOLUZIONARIA

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