Il clamore che sta suscitando l’azione di Hamas in territorio israeliano ha dell’incredibile, la stampa occidentale si mostra sgomenta e meravigliata per l’improvvisa azione di un gruppo di persone con rudimentali mezzi ma con tanta rabbia in uno Stato fra i più potenti al mondo dal punto di vista militare.   Verrebbe da dire: signori ma che vi aspettavate? zagare profumate e pasticcini?Chi semina vento raccoglie tempesta e come sempre i fatti si pongono all’attenzione dell’individuo che

è chiamato a schierarsi secondo i suoi interessi e le sue inclinazioni. Una legge che vale per tutti.   Titolo queste brevi note « niente è eterno » volendo affermare da subito che lo Stato di Israele è entrato ormai in un cuneo obbligato della storia che lo porterà alla dissoluzione. Capisco che questa affermazione può provocare anche ilarità, ma la storia ha leggi proprie e se ne frega dei fessi che si lasciano abbagliare dalla potenza delle sembianze del momento. Proprio il clamore suscitato dall’azione di Hamas è uno dei sintomi del destino ormai segnato della sua dissoluzione.

  Faccio mia la tesi di fondo di Gilles Kepel, che a tutta pagina sul Corriere della sera di martedì 10 ottobre, cioè immediatamente dopo i fatti del 7 ottobre, dice « l’offensiva di Hamas è un colpo sferrato contro tutte le potenze occidentali ». Com’è possibile si chiede lo scettico che un gruppo di poche migliaia di palestinesi, in nome del suo popolo, sia in grado di lanciare una sfida di portata storica a tutto l’Occidente? Questa diffidenza è dovuta all’ignorantitudine, (il lettore mi perdonerà per il “neologismo” ovvero per l’abitudine all’ignoranza), legata a non capire le ragioni storiche che fecero sorgere in quella precisa area geografica e in quel preciso momento storico lo Stato di Israele. E la storia è fatta di momenti e i momenti sono transeunti, dunque non eterni.  Sicché lo Stato di Israele nasce si “solo” nel 1948 ma la sua gestazione ha origine alla fine del secolo precedente e questa ha ancora origine nella rivoluzione industriale,nell’invenzione del motore a scoppio e nella scoperta del gasolio come combustibile fossile che avrebbe favorito lo straordinario sviluppo del trasporto su gomme. Per cui chi guarda all’episodio dell’oggi con l’occhio diaframmato rispetto alla storia passata rimane sgomento e indignato e demarca il proprio spirito libero e democratico da quello terrorista e bestiale dei militanti di Hamas.

  Diamo ancora la parola al lucido Kepel che dice: « Qualunquesarà la portata dei bombardamenti già inflitti per rappresaglia contro l’enclave palestinese, il colpo sferrato da Hamas non ha precedenti: né per Israele né di conseguenza per l’Occidente nord-atlantico di cui lo stato ebraico è il simbolo aborrito agli occhi di molti arabi, sia musulmani sia di molti popoli ex colonizzati del Terzo modo ».

   Dunque l’illustre personaggio ha piena consapevolezza che l’insieme dell’Occidente è odiato e ci saranno pure delle ragioni. Allora andrebbero esaminate le ragioni che hanno generato tanto odio, e spiegare così l’effetto causale piuttosto che “meravigliarsi”.

 Kepel coglie nel segno quando afferma che l’offensiva di Hamas « è un colpo sferrato contro tutte le potenze occidentali » perché in questo modo traccia un corretto rapporto tra rappresentanti e rappresentati, sia per quanto riguarda il popolo palestinese sia per le potenze occidentali, ovvero tra le masse palestinesi e quelli che si propongono come sue avanguardie e lo Stato di Israele e le potenze occidentali che lo sostengono. Pertanto la preoccupazione non è tanto in riferimento ad Hamas quanto al fatto che la crisi generale del modo di produzione di questa fase possa estendere a tutta l’area mediorientale un aggravamento delle condizioni di vita delle masse che unite all’odio possano provocare quello che l’Occidente teme: una generalizzata rivolta dagli esiti incontrollabili. Perché se no inviare una portaerei nella zona da parte degli Usa?   

  Come spesso succede certi analisti partono da una effetto per spiegare una causa senza capire e spiegare la causa precedente che ha provocato l’effetto, ovvero del perché « lo sgretolamento morale d’Israele, conseguenza di una coalizione governativa tenuta in ostaggio dai ministri dell’estrema destra, gli attacchi contro la Costituzione, le manifestazioni massicce e la disobbedienza civile di numerosi riservisti, che si erano rifiutati di addestrarsi come forma di protesta contro la deriva politica, sono tutti fattori che hanno contribuito a indebolire il Paese, e che la Repubblica islamica ha saputo sfruttare ». Ma proprio nella causa precedente all’effetto qui descritto, da Kepel, c’è il punto di svoltastorico, ovvero la spiegazione della nuova fase in cui è entrato il moto-modo di produzione capitalistico e il ruolo che è chiamato a svolgere lo Stato di Israele che era solido quando cresceva l’accumulazione e comincia a tremolare con la crisi attuale. È questa la questione di fondo.

Un fortuito granchio o una volontaria mistificazione?

« Il mondo sta scoprendo definitivamente di essere entrato in tempi bui paragonabili » dice Danilo Taiano « agli anni Trenta del Novecento ». Una delle pessime abitudini degli analisti è quella della comparazione tra i fatti della storia come se essa agisse meccanicamente, ripetendosi sempre allo stesso modo mentre così non è perché la storia è fatta di tempi e mai un tempo successivo è uguale a quello precedente perché tutto è determinato da nuove condizioni.

  Sicché paragonare fatti storici come i pogrom, le leggi razziali o l’olocausto all’attuale scontro tra le due punte dei due iceberg, cioè il popolo palestinese per un verso e lo Stato di Israele per il versante opposto, sta a indicare la volontà di rimuovere la questione storica attuale proprio mentre la si afferma: da un lato si dice che l’azione di Hamas è un atto contro tutto l’Occidente, giusto, contemporaneamente si riportano indietro di cento anni le lancette dell’orologio, cioè gli anni ‘Trenta del secolo passato per affermare le stesse ragioni causali mettendo cioè sullo stesso piano gli ebrei contro cui si scatenò l’odio di allora, e lo Stato di Israele contro cui si difende il popolo palestinese, variamente rappresentato, duramente oppresso da 75 dallo Stato d’Israele sostenuto dall’insieme dell’Occidente.

  Dal momento che non si tratta di ingenui sprovveduti ma di navigati analisti, diviene legittima la domanda: si tratta di un granchio o di una volontà mistificatrice?

  Asor Rosa, un intellettuale di tutto rispetto coniò una sintesi brillante dicendo: con la creazione dello Stato di Israele l'Occidente ha tramutato gli ebrei da vittime in carnefici nel loro rapporto con il popolo palestinese. Mai sintesi storica fu più appropriata. Pertanto chi oggi si sforza di mettere sullo stesso piano i pogrom, le leggi razziali e l’olocausto con l’azione di Hamas dice un falso perché mentre  allora l’azione antiebraica era rivolta contro una minoranza etnico-religiosa da stati, nella fattispecie Germania e Italia in modo particolare, oggi lo Stato d’Israele è la testa di ponte in Medioriente a salvaguardare gli interessi non della comunità etnica ebraica, ma l’insieme  degli interessi economici e politici del mondo occidentale contro i paesi detentori di materie prime di quell’area. Gli ebrei erano una minoranza mondiale negli anni ‘Trenta e tali sono ancora oggi e lo Stato di Israele nel suo insieme conta poco più di 9 milioni di abitanti compresi gli arabi ebraici. Ma quello che si è modificato è il ruolo che è andato ad assumere lo Stato di Israele cui gli ebrei sono stati sacrificati alla causa. Non c’entra niente col cosiddetto ritorno alla terra di Abramo, la foglia di fico per giustificare le vere ragioni della fondazione dello Stato di Israele in quella regione. Il sionismo, ovvero il fenomeno di colonizzazione ebraica in quel territorio era ben poca cosa. Nel 1948 non fu istituito nell’area uno nazione etnica pacifica in armonia con gli abitanti dell’area, in modo particolare coi palestinesi, no, ma fu costituito un potente Stato armato fino ai denti dall’Occidente e in primis dagli angloamericani, nel ruolo di cane da guardia contro i paesi dell’area ricchi di petrolio. Insomma gli ebrei furono fatti cadere dalla padella alla brace da un modo di produzione che l’Occidente, quale vincitore della Seconda guerra mondiale,organizzò su misura.  

   Per paradossale che possa sembrare dico che se gli ebrei – ripeto in quanto etnia religiosa - volessero veramente trovare il nemico lo dovrebbero cercare, oltre che nel nazismo e nel fascismo, proprio nella democrazia capitalistica occidentale d’oggi che li ha utilizzati cui loro per necessità storica furono indotti a prestarsi.Una sorta di combinato disposto. Divenne del tutto naturale perciò superare lo stadio di etnia religiosa per rivestire il ruolo di carnefici quali oggi sono nei confronti dei palestinesi. Pertanto il primo vero criminale, responsabile di quanto sta accadendo in Medioriente è lo stato degli Usa che cerca di muovere le redini per controllare i suoi movimenti sperando di superare il fallimento cui sta andando incontro.

  Che ci siano anche ebrei ricchi e ricchissimi negli Usa e in Europa, oltre che nello Stato ebraico, è fuori discussione ma sono criminali non in quanto ebrei, ma in quanto asserviti all’accumulazione di capitali. Chi dovesse scambiare il ruolo – che prevale sugli uomini – con il libero arbitrio dell’individuo personificato nell’ebreo dimostrerebbe di non aver capito niente del meccanismo dello scambio che ha sviluppato i rapporti sociali con i mezzi di produzione fino a raggiungere gli attuali livelli di accumulazione e di crisi. Pertanto il solo odio antiebraico, voglio essere ancora una volta chiaro, diffuso nell’area, non sarebbe sufficiente a mobilitare milioni di persone. L’odio è anticapitalistico, ovvero antisistema anche se si presenta in quanto antiebraico ma è contro lo Stato di Israele in quanto cane da guardia dell’insieme dell’Occidente.

  Dunque parlare dell’oggi come del Novecento non ha senso e serve solo a tentare di rimuovere le cause vere dell’attuale crisi che è del moto-modo di produzione nel suo insieme con riflessi in modo particolare in Occidente con effetti sismici che lo stanno sempre di più indebolendo. E siccome Israele è uno Stato sorto in un determinato momento storico, come si è detto prima, la crisi dell’Occidente si manifesta anche in Israele e pone questo Stato nella necessità di fare dei passaggi non solo pro doma sua ma in difesa di tutto l’Occidente assediato dalle economie dei paesi emergenti. Insomma il ruolo di cane da guardia per conto dell’Occidente in Medioriente si va aggravando mentre si indeboliscono dal suo interno le ragioni di tenuta politica come si è dimostrato nell’ultimo periodo con continue mobilitazioni antigovernative per le misure illiberali del governo retto da Netanyahu.

  Bando perciò alle chiacchiere: l’allarme dell’Occidente è più che giustificato e quando Danilo Taino scrive che « La libertà è sotto attacco nel disordine globale » dice il vero ma omette di precisare che si tratta di una « libertà » tutta e solo occidentale ai danni di popoli e nazioni per secoli sfruttati e oppressi che oggi cominciano a presentare il conto all’insieme dell’Occidente che è allarmato, gli comincia a mancare il terreno sotto i piedi e gli tremano le gambe. Chi percepisce lo stato reale della situazione dice, rivolgendosi all’insieme dell’Occidente  « non è più tempo di incertezze e divisioni » come fa Danilo Taino dal Corriere della sera nell’articolo che stiamo citando.

  Molti commentatori divengono facili propagandisti ma muovere le leve del moto-modo di produzione con leggi proprie, è infinitamente più complicato, perché si tratta di leggi che non obbediscono al libero arbitrio dell’individuo anche se posti nel ruolo di capi di Stato. Difatti Netanyahu per rincorrere l’occupazione della Cisgiordania si è trovato scoperto sull’altro fronte ed è stato ”invaso da Hamas.

  Cerchiamo perciò di essere seri: un conto è la propaganda – di cui anche i mezzi di “informazione” più “democratici” sono costretti a tirare la volata a sostegno dello Stato di Israele, tutt’altra cosa sono le prospettive cui si sta andando incontro. Diciamola tutta e fino in fondo: lo stallo dello Stato di Israele dopo il 7 ottobre è l’immagine riflessa dello stallo dell’Occidente, ovvero di un potere politico e militare che di fronte a una crisi generale non sa cosa fare ed è atterrito. Basta osservare i volti dei Biden e dei Blinken per rendersene conto. E mentre Netanyahu, il volto del mastino napoletano che ringhia e si mostra arrogante e pronto a sferrare una carneficina a Gaza, l’Occidente democratico e liberista cerca di tenerlo a freno perché teme il peggio. È questo il quadro reale della situazione.  Basta pensare che alla fine si ricorre alla vecchia idea di due popoli due Stati a 75 anni dall’occupazione e con l’acqua alla gola di una crisi economica e finanziaria paurosa per tutto l’Occidente.  Ma – si badi bene – dopo aver smantellato Hamas e indotto a più miti consigli, cioè umiliato, quello che rimarrebbe del popolo palestinese.

Uno Stato giudaico teocratico?

  Yuval Noah Harari, sempre sul Corriere della sera (vero giornale di analisi finalizzata alla propaganda dell’establishment) scrive «La coalizione imbastita da Netanyahu nel dicembre del 2022 è stata di gran lunga la peggiore. È un’alleanza di fanatici messianici e opportunisti spudorati che hanno ignorato le molte criticità di Israele – tra cui il degrado della sicurezza – per concentrarsi invece sul potere per loro stessi » e ancora « ma è innegabile che il modo in cui il populismo ha corroso lo Stato di Israele dovrebbe servire da monito a tutte le democrazie del mondo. Israele può ancora salvarsi dalla catastrofe. Può contare ancora sulla superiorità militare su Hamas e su molti altri nemici. La lunga memoria del dramma degli ebrei sta galvanizzando gli ebrei in questo momento ».

  Cerchiamo di stare ai fatti senza fare voli pindarici: la storia non è mai ferma e lo Stato di Israele non può continuare all’infinito per come è nato. Questo vuol dire che o diviene più potente a danno dei confinanti o imbocca – come detto all’inizio - il cuneo dell’estinzione.

  L’estrema destra ebraica presente nello Stato di Israele personalizzata in Netanyahu non rappresenta se stessa, no, ma una necessità oggettiva: la crescita dello Stato e della nazione “ebraica” verso una Giudea teocratica e sempre di più armata come unica possibilità di offrirsi all’insieme dell’Occidente quale strumento militare e finanziario. Dunque qualcosa di diverso dal, liberismo democratico. Ecco spiegate le ragioni delle mobilitazioni dell’ultimo periodo. Ma anche solo per assumere questo specifico ruolo non potrebbe mai bastare una popolazione al di sotto dei dieci milioni di persone che tenderebbe perciò a occupare altri territori confinanti. Il dato di fatto è questo: c’è stato per 75 anni il tentativo di far affluire verso lo Stato di Israele quanti più ebrei era possibile, favorendoli con agevolazioni di ogni tipo per estendere la comunità in una nazione-Stato. Ma – ecco il punto cruciale – c’è in limite storico: questo è il popolo ebraico. Si è eletti se si è una élite, ovvero qualcosa al di sopra, non comune, dunque una minoranza. Non solo, ma una parte di esso, cioè i più ricchi, i più fortunati, i più capaci, ma anche più furbi, hanno il doppio passaporto e si sono tenuti ben lontani – geograficamente - dallo Stato di Israele pur difendendone tutte le ragioni, anche le peggiori.

  Poi però la storia, unico giudice inappellabile, come sempre presenta il conto e la comunità ebraica è posta nella necessità di farsene una ragione perché lo Stato d’Israele è messo in crisi proprio dal liberismo democratico che ha assecondato le leggi impersonali dello scambio, del mercato e della concorrenza che sta impattando con i suoi limiti tutti oggettivi.

 Conclusione: si stanno sbriciolando le ragioni che fecero sorgere lo Stato di Israele e gli ebrei sono costretti a farsene una ragione.   

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Da Marx a Marx
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Autore Michele Castaldo

MODO DI PRODUZIONE E LIBERO ARBITRIO

Marx e il Torto delle Cose

LA CRISI DI UNA TEORIA RIVOLUZIONARIA

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