Dopo l’ubriacatura della retorica democratica contro il terrorismo cerchiamo di ragionare su quanto è accaduto e sulle prospettive del futuro.

   Il mondo democratico inorridisce di fronte all’azione criminale del terrorismo islamista? Non esageriamo. I mezzi di informazione, che in Occidente assolvono al ruolo di strumenti di propaganda contro i popoli del sud del mondo e la loro povertà,  gareggiano a chi la spara più grossa sull’episodio di Parigi, cioè sull’uccisione di alcuni giornalisti (satirici) da parte di alcuni militanti dell’estremismo islamico che intendevano in questo modo interpretare il senso di profonda offesa, e perciò di vendetta, della maggioranza degli islamici nei confronti di un giornale satirico di un paese imperialista con le sue vignette contro il loro credo religioso.      

   Diciamolo in maniera brutale: ma

volete che su oltre un miliardo di uomini e donne che credono nell’Islam, in Allah, Maometto, il Corano e cosi via e che si sentono continuamente scherniti da alcuni giornalisti o scrittori occidentali non ne sorgano alcuni disposti al sacrificio pur di cancellare l’onta del continuo disprezzo e della presa in giro?  E non vi pare di chiedere troppo alla …divina provvidenza? Si tratta di semplice buon senso che la stragrandissima maggioranza dei commentatori, in Italia e fuori, non ha. Se n’è accorto addirittura l’ex direttore del Financial Times che scrive:

   « Anche se il magazine [Charlie Hebdo, ndr] si ferma poco prima degli insulti veri e propri, non è comunque il più convincente campione della libertà di espressione" [...] "Con questo non si vogliono minimamente giustificare gli assassini, è solo per dire che sarebbe utile un po' di buon senso nelle pubblicazioni che pretendono di sostenere la libertà quando invece provocano i musulmani ».

Ecco, un po’ di buon senso; se non se ne ha, ci sono delle ragioni.

   Diciamo allora innanzitutto e in premessa che la categoria dei giornalisti, salvo rare eccezioni, in quanto tale, è una casta di costruttori di notizie assoldata agli editori, che Lenin chiamava amorevolmente pennivendoli. Quelli che fanno satira, se non rientrano nell’eccezione, che si diceva, non fanno perciò eccezione. Non stiamo perciò a interrogarci chi sia l’editore del giornale satirico parigino, sappiamo di certo che senza soldi non si possono stampare riviste costosissime e garantire stipendi adeguati al tenore di vita in una grande metropoli come la capitale francese. Tantomeno ci sentiamo di sostenere lo spirito goliardico nei confronti di Maometto. Libertà di stampa e libertà di satira? Chiacchiere da quattro soldi: cui prodest? a chi giova prendere in giro gli islamici in questa fase particolare? E allora: dimmi chi ti paga e ti dirò chi sei. Tanto peggio quando si ha la consapevolezza di far male e di offendere nel profondo dell’animo, visti i precedenti con la questione delle vignette del 2005 in Danimarca e ancora prima con il profondo risentimento da parte di tutte le comunità musulmane europee contro lo scrittore Salman Rushdie per il suo libro I versi satanici.

   Non di poveri innocenti perciò si tratta, ma di prezzolati al servizio di una causa, quella della difesa dei valori occidentali e della derisione degli islamici, con l’aggravante della premeditazione, attraverso l’arma “innocente” e “sterile” – ma tanto sottile quanto perfida e odiosa – della satira. Vien da dire: chi semina vento raccoglie perciò tempesta, e tanto basta.

   Mettiamo da parte facili innocentismi e ipocriti pietismi e veniamo alle questioni vere che si pongono in materia di terrorismo e terroristi non in astratto, ma nell’attuale fase del modo di produzione capitalistico o della civiltà occidentale come lor signori amano ripetere.

   Marx in polemica con Feuerbach precisò che le religioni non sono una sovrapposizione sulle masse, ma sono lo spirito delle masse stesse, cioè la loro povertà spirituale che affida per opportunismo del minimo sforzo a un’entità superiore e ad esse esterna la creazione dell’universo e il rimedio al loro malessere. Per un materialista non c’è molta differenza fra i vari credo delle varie religioni e fedi perché tutte pongono un essere soprannaturale, quale creatore, al di fuori e al di sopra della materia. Dunque le religioni non possono essere esaminate secondo il loro credo spirituale, ma lo devono essere nella loro collocazione storica, in quanto espressioni di contesti sociali che le hanno generate. Chi cerca nei loro dettami teorici la radice pacifista o guerrafondaia può trovare facilmente l’una e l’altra senza che si contraddicano, perché pur predicando l’assoluto si mostrano più relativiste di Einstein.

L’ebraismo, la religione di una minoritaria etnia, cacciata dalla terra santa e esposta al continuo martirio in ogni parte del mondo, oggi ha il suo fulcro politico-religioso in uno Stato iperarmato, quello di Israele, che funge da testa di ponte dell’Occidente in Medio Oriente in funzione antiaraba e antislamica per il controllo delle immense risorse di materie prime dell’intera area. Si tratta di un minuscolo popolo di uomini passati nel volgere di alcuni decenni da martiri a carnefici contro il popolo palestinese. Pacifisti o guerrafondai? L’uno e l’altro: sono pacifisti se non vengono contrastati nella loro opera di espansione e di rapina dei territori palestinesi brutalmente cacciati dalle loro terre e dalle loro case; diventano, in quanto popolo dello stato di Israele, autentici criminali nei confronti della ribellione palestinese che si oppone ai soprusi dello Stato israeliano. L’uso esclusivo della forza e della violenza è appannaggio dello Stato democratico, dunque giustificate. L’uso della forza nelle ribellioni del popolo palestinese è duramente represso e condannato, perché esso è privo di uno Stato.

   E’ una religione pacifista o guerrafondaia quella cattolica apostolica romana? Anche in questo caso il movimento sociale del cristianesimo è l’uno e l’altro: sorto come movimento antischiavistico, via via è divenuto una straordinaria associazione a delinquere che si è caratterizzata storicamente in quanto predatrice in nome e nel segno della croce, commettendo le violenze più inaudite nei confronti, in modo particolare, dei popoli del Sud America, in maniera diretta, e in maniera indiretta coprendo spiritualmente il colonialismo e l’imperialismo negli ultimi secoli. Ovvio che non possiamo misurare la sua aggressività guerrafondaia con il comportamento della suorina che si dedica all’assistenza degli ammalati terminali di aids negli ospedali delle nostre città o di missionari mandati in avanscoperta nei paesi africani a coprire i loschi affari e traffici d’ogni sorta, di ingenti investimenti delle banche vaticane.

   E’ l’Islam una religione pacifista o guerrafondaia? Su questa domanda non bisogna essere ipocriti e bisogna usare lo stesso criterio d’analisi usato per le altre religioni. Si tratta di un movimento sociale che racchiude al suo interno molteplici istanze di popoli di antiche civiltà che da oltre due secoli subiscono l’oppressione dell’Occidente favorita dal modo di produzione capitalistico. Detto in maniera brutale, la rivoluzione industriale ha favorito un modo di produzione che ha permesso all’Occidente di predare le risorse del sottosuolo di intere aree come quelle mediorientali e orientali assoggettando con il colonialismo prima e con l’imperialismo poi nazioni e popoli. Di conseguenza il Cristianesimo è divenuto la congrega spirituale che sostiene i paesi occidentali e, di riflesso, le masse, i paesi e i popoli oppressi si sono rifugiati nell’Islam come mantello unitario di difesa contro l’Occidente. Non c’è omogeneità sociale nel Cristianesimo e allo stesso modo non vi può essere omogeneità sociale nell’Islam.

   Appare così una guerra di religione tra l’Islam e gli infedeli quella che invece è uno scontro di intere aree geografiche per l’utilizzo e lo sviluppo delle risorse all’interno di un moto-modo di produzione che comincia a incrinarsi, a mostrare serie crepe, e di conseguenza si acuiscono le contraddizioni fra aree e all’interno delle stesse aree tanto al Nord, l’Occidente, quanto al Sud, il Medioriente, l’Africa.

   L’Islam nasce come movimento di popoli medio-orientali in opposizione al potente movimento cristiano europeo, che puntava ad espandersi in Arabia, e successivamente tende a divenire una potenza economica, politica e militare con la guida spirituale del Corano, in nome di Allah e del suo profeta Maometto. Impotenti di fronte alle avversità della natura da un lato e ai continui soprusi degli occidentali dall’altro si affidavano e tuttora si affidano ad Allah.

   Perché sono così sensibili gli islamici alle offese e alle prese in giro di Allah, di Maometto, dei muezzin e del loro modo di pregare in ginocchio con la testa rivolta alla Mecca, mentre i cristiani non si offenderebbero per le offese rispetto a Dio, al papa, ai vescovi e al clero? E’ la domanda generica, ma retorica, che gli occidentali a fini strumentali rivolgono a “terzi”. La risposta ovviamente è già contenuta nella domanda: perché sono più stupidi, più arretrati, più retrivi, più reazionari, più incivili gli islamici di noi occidentali che invece siamo tolleranti, civili, democratici ecc. ecc. Di più, ripetono i propagandisti occidentali: siamo talmente tolleranti e democratici che consentiamo loro di costruire le moschee nelle nostre democratiche città mentre loro non ci consentono di costruire le chiese cattoliche nelle loro. A questa osservazione critica vanno mosse due obiezioni: a) le moschee vengono fatte costruire come tentativo di usarle da oppio nei confronti degli immigrati e di controllo al tempo stesso; b) perché la chiesa cattolica, disponendo di immense risorse economiche,  usa – viceversa – le proprie organizzazioni come apripista agli interessi occidentali nei paesi arretrati e molto spesso sono covi di spie e di corruzione nei confronti delle popolazioni indigene dietro l’apparente volto benefattore di un asilo o una scuola primaria o un ospedale. Per queste ragioni i popoli islamici si oppongono. Le cose vanno chiamate per il loro nome e spesso molte persone di buoni sentimenti e di sane intenzioni si mettono in fila per operazioni umanitarie e finiscono coll’assecondare il fine maggiore dei tentacoli capitalistici impersonati dalle strutture ecclesiastiche.  

   In maniera materialistica, diciamo che non è possibile porre la stessa domanda a due diverse condizioni materiali e sociali che esprimono due diverse religioni, due diverse culture e due diverse sensibilità. Pertanto, se si volesse rispettare veramente la libertà di tutti si dovrebbe rispettare la libertà di chi, più debole in quanto popolo oppresso in questa fase, ha come proprio rifugio il proprio Dio. Un conto è prendere in giro un crapulone, tutt’altra cosa è prendere in giro un affamato, specie se a prenderlo in giro è il crapulone che si è abbuffato alle spalle dell’affamato. Relativizziamo perciò tanto la domanda quanto le rispettive risposte: la chiesa di Roma, che è la più potente fra tutte le varianti del Cristianesimo, rappresenta agli occhi dei popoli arabo-islamici l’insieme degli infedeli, cioè di chi tradendo il mandato di Dio sostiene l’oppressione occidentale nei loro confronti. Dunque è sbagliato porre sullo stesso piano le due religioni.

Macro e micro terrorismo

Con il termine terrorismo si vuole intendere azioni e atti violenti che tendono a terrorizzare, a incutere paura al nemico. Ma non ogni azione terroristica ha la stessa portata e la stessa capacità di incutere terrore e paura. Pensarlo è da stupidi, se in buona fede, altrimenti vuol dire usare il terrorismo in maniera strumentale allo scopo di terrorizzare più di quanto non faccia la reale azione terroristica in quanto tale.

   La domanda vera che si pone è: cosa incute veramente terrore e paura oggi a centinaia di milioni di persone in ogni angolo del pianeta? A nostro modo di vedere sono le armi atomiche, chimiche e batteriologiche, o comunque belliche che gli stati più potenti posseggono in nome e per conto di un modo di produzione, che minacciano di usare o che continuamente usano. In questo caso parliamo di macroterrorismo, cioè di un potenziale distruttivo senza precedenti nella storia dell’umanità. 

   Poi esiste il microterrorismo, rappresentato da azioni di minuscoli gruppi che si fanno interpreti del malessere procurato a centinaia di milioni di proletari, lavoratori, diseredati, disoccupati ecc. che si rifanno a una religione per ritrovare un senso comune di difesa contro l’oppressione occidentale, come nel caso in specie di aderenti all’Islam, che fanno attentati provocando alcuni morti e feriti.

   Innanzitutto non c’è proporzione tra le azioni degli stati occidentali che provocano continuamente morte, distruzioni e devastazioni di territori in confronto agli effetti del microterrorismo. La cosa su cui riflettere veramente è che il microterrorismo è a sua volta l’effetto dell’azione del macroterrorismo. Metterli sullo stesso piano significa negare la natura che li partorisce entrambi, e che il primo, il macro, è causa del secondo. Per una corretta analisi del problema così va posta la questione. Se si vuole un esempio limpido al riguardo basta menzionare l’occupazione dell’Algeria da parte della Francia e la ribellione, prima “terroristica”, cioè di ristretti gruppi, e poi di massa della popolazione, che Gillo Pontecorvo immortalò in modo mirabile con il film La battaglia di Algeri. Abbiamo così il macroterrorismo della grandeur, della Francia quale potenza coloniale, e di riflesso agente il microterrorismo, cioè il terrorismo di difesa da parte di gruppi con attentati in luoghi frequentati dai francesi occupanti. Senza il macro non ci sarebbe il micro. E’ molto semplice la questione.

   Si parla oggi di terrorismo dell’Isis, su cui si dice tutto e il suo contrario. Ma la storia non comincia nel 2013; l’Isis di oggi – ammesso che si tratti di sunniti organizzati contro le altre formazioni dell’estremismo islamico e contro la presenza degli occidentali nell’area – è la tardiva risposta al Desert Storm del 1991, di quella canagliesca azione compiuta da tutte le maggiori potenze economiche sotto il vessillo dell’Onu che provocò centinaia di migliaia di morti. Si trattò di una vera e propria azione macroterroristica internazionale contro un popolo che rivendicava con il legittimo governo di Saddam Hussein di poter vendere il petrolio secondo un prezzo conveniente di mercato piuttosto che farselo prendere da sotto i piedi dalle potenze occidentali. 

   La storia è piena di esempi di questa natura. Se andiamo più indietro negli anni, scorgiamo che in Russia il macroterrorismo era operato dalla famiglia imperiale e dai feudatari nei confronti dei mugichi o servi della gleba. Gli attentati contro le strutture governative e feudali rappresentavano il microterrorismo di riflesso agente dei socialisti rivoluzionari e degli anarchici, che interpretava il malcontento di decine di milioni di affamati che non riuscivano a trovare la forza di insorgere.

Terrorismo islamico e terrorismo rosso o comunista

Un’altra delle trovate dei commentatori dei fatti di Parigi è di mettere sullo stesso piano tanto il terrorismo islamico di questa fase quanto il terrorismo in Italia degli anni ‘70 o, più precisamente come scrivono certuni, delle Brigate Rosse. In questo caso si pecca di ignoranza o di stupidità o di entrambe le caratteristiche. Lo si fa strumentalmente allo scopo di dividere gli islamici tra buoni, cioè che accettano il confronto democratico senza usare la violenza, e i cattivi, quelli che si fanno interpreti del malessere sociale e si organizzano in gruppi per compiere azioni di microterrorismo. Ci si rifà all’esempio del Pci, che decise di denunciare le connivenze contro chi, uscito dalle proprie file, si era organizzato nei gruppi clandestini.

   L’ignoranza analitica consiste in questo: il Partito comunista italiano (Pci) rappresentava e organizzava la classe operaia che usciva da una fase di accumulazione e che si sentiva totalmente integrata nell’ambito democratico; gli operai credevano di migliorare ancora la propria condizione con il proprio partito che stava per entrare finalmente nella stanza dei bottoni, cioè nel governo delle convergenze parallele. In virtù di questa aspettativa la classe operaia chiuse le porte alle generazioni successive di proletari scolarizzati dalle quali scaturì un movimento sociale che si contrappose a quella chiusura. Dal momento che la classe operaia, attraverso il suo partito, il Pci, si faceva stato, le nuove generazioni di proletari, che Asor Rosa definì la seconda società, divennero violente contro le istituzioni e contro lo Stato organizzandosi in gruppi clandestini e compiendo azioni di guerriglia metropolitana contro il personale politico dello Stato. Il terrorismo rosso – come fu definito – non fu sconfitto solo dalla delazione, cioè dalla collaborazione con le forze di polizia, della burocrazia politica e sindacale del Pci e della Cgil, ma da un decreto legge – la famosa 285 – che fece assumere nella pubblica amministrazione oltre mezzo milione di giovani, prosciugando in questo modo il mare dove nuotavano e si alimentavano gruppi dell’estrema sinistra. Il 1978 che per i gruppi clandestini doveva segnare il punto di svolta per l’assalto al cuore dello Stato segnò l’inizio della sconfitta. In realtà i gruppi politici che si diedero alla clandestinità rappresentavano il tentativo di agganciare il movimento sociale del biennio 1968-69 alle istanze delle nuove  generazioni.

   Chi mette sullo stesso piano il terrorismo rosso di quegli anni con il terrorismo islamico, perché accomunati dall’uso della violenza, non ha capito che mentre fu possibile integrare nel tessuto democratico mezzo milione di giovani scolarizzati disoccupati, perché i margini economici lo consentivano, oggi per poter integrare centinaia di milioni di arabo-islamici impoveriti dal modo di produzione  capitalistico – cioè dalla rapina imperialista occidentale - occorrerebbe uno sforzo e una capacità razionale delle classi al potere che non possono in alcun modo avere.

   Hanno ragione perciò quanti, come il personaggio Ferrara, vedono dietro la spia delle azioni terroristiche di gruppi islamici l’onda di orde barbariche che s’ingrossa paurosamente verso l’occidente. E’ quest’onda di orde barbariche la vera minaccia terroristica, non l’azione di piccoli gruppi con qualche sparuto attentato che causa qualche morto. Diciamocela tutta: il microterrorismo islamico, in quanto tale, non è una vera minaccia per il modo di produzione né per le democrazie nei paesi occidentali. Lo sanno bene tutte le cancellerie diplomatiche e gli analisti politici.

 

Scienza, tecnica e modo di produzione.

Mettiamo da parte momentaneamente gli aspetti propagandistici dello scontro e spostiamo l’asse del ragionamento sulla vera posta in palio: il modo di produzione, perché è questa la questione di fondo.

Il filosofo Emanuele Severino in un articolo sul Corriere della sera del 10 gennaio 2015, fornisce una propria visione dello scontro che sempre di più si va delineando tra le democrazie occidentali e il mondo arabo islamico. Vale la pena commentarlo.

« Al centro dei fenomeni del nostro tempo c’è la fame » , lui scrive mettendo così al centro dello scontro non la propaganda ma la questione di fondo: la fame. E continua: « L’Urss ha esercitato una funzione di controllo e di contenimento delle spinte antioccidentali dei paesi musulmani ». Fin qui niente di nuovo, semplice constatazione. « Quelli operati dal mondo islamico nei confronti delle proprie forme estremistiche sono estremamente meno efficaci, sia perché il mondo islamico (già di per sé ostile all’Occidente) è frammentato, sia perché non esiste una tensione tra esso e l’occidente analoga a quella tra Usa e Urss: ancora non esiste il pericolo che l’estremismo, in questo caso islamico, abbia a rompere un equilibrio di potenza, in questo caso tra Islam e Occidente, determinando la catastrofe nucleare ».  Insomma nelle chiacchiere propagandistiche c’è poca sostanza: questo tipo di terrorismo non rappresenta un pericolo reale.

   Entriamo allora nel cuore del problema:

 « Nel Medioevo la cultura cristiana e quella islamica crescono entrambe nel terreno della filosofia greca. Poi il cristianesimo, a differenza dell’Islam, si imbatte nella cultura moderna, che lo mette radicalmente in questione e con esso finisce col lasciarsi alle spalle l’intera tradizione dell’Occidente. L’Islam ignora l’atteggiamento critico in cui la modernità consiste. In quanto critica del proprio passato l’Occidente è debole; in quanto fede nella propria tradizione l’Islam è forte ».

   Dietro l’astrusità del linguaggio filosofico di Severino si nasconde il seguente concetto: il Cristianesimo si è adeguato alla modernità, ha messo da parte Tommaso d’Aquino e Averroè  passando dalla trascendenza all’immanenza, afferrando l’occasione che la storia le offriva dell’uso della tecnica dei nuovi mezzi di produzione, mentre l’Islam è rimasta fedele alle sue tradizioni, non si è modernizzata, è rimasta indietro e questo l’ha resa impotente di fronte ai nuovi compiti della storia. Un modo più intelligente e meno volgare di dire che sono inferiori a noi, come sostiene in maniera brutale Ostellino (a pagina 35 dello stesso giorno) sullo stesso quotidiano della borghesia italiana:

   « Che piaccia o no al buonismo, siamo diversi. E’ inutile nascondersi dietro il dito di un universalismo di facciata che non regge alla prova della logica e della storia. Siamo anche migliori, avendo noi conosciuto, e praticato da alcuni secoli – a differenza di loro che sono, e vogliono restare, una teocrazia – la separazione della religione dalla politica ».

   Ostellino dimentica la teocrazia del democratico stato d’Israele e i Patti Lateranensi tra lo stato italiano e la Chiesa cattolica. Non è questa però una questione di primaria importanza.

   Torniamo a Severino e alla sua disamina filosofica. L’immanenza, quanto a pensiero filosofico, non si cucina. In maniera più grossolana dobbiamo dire quel che né il filosofo Severino, né la ciurma di giornalisti e scrittori propagandisti dicono, cioè che l’Occidente segna un punto di svolta rispetto al Medioevo e all’Islam con la cosiddetta scoperta dell’America, ovvero con la prima grande impresa coloniale dell’epoca moderna.  Giordano Bruno, Telesio, Campanella, Cartesio, Bacone e lo stesso Galilei (teorizzatore del metodo scientifico) e altri sono i precursori dell’Illuminismo, ma sono successivi alle imprese di Vespucci e di Cristoforo Colombo.

  Altro che separazione tra Stato e chiesa e chiacchiere al riguardo. « La tecnica è il mezzo più potente. Il programma nucleare iraniano è sintomatico ». Attenzione bene: « Nonostante la sua efferatezza e il numero delle vittime, il terrorismo islamico ha ancora un carattere artigianale »  . Come a dire …non è questo il vero problema, « Per diventare una minaccia alle strutture del mondo occidentale deve acquistare un carattere tecnologico-industriale”, deve cioè competere sullo stesso terreno all’interno di un modo di produzione divenuto ormai mondiale con le stesse leggi dell’economia e dell’accumulazione capitalistica. 

  « E perché ciò accada occorre uno Stato. Ma se per realizzare quella minaccia uno Stato terrorista islamico è indispensabile, la sua esistenza è anche controproducente, un pericolo per la propria sopravvivenza. Infatti esso sarebbe ben visibile. La sua distruzione incontrerebbe meno difficoltà tecniche che non l’individuazione e distruzione della nebulosa costituita dalle cellule terroristiche sparse per il mondo ».

   Severino lascia la propaganda alla manovalanza come gli Ostellino, i Ferrara,  e i Belpietro  per assolvere al ruolo del pensatore e consigliere borghese. Vediamo il di tipo prospettiva che delinea:

 « Probabile, sì, un consistente aumento degli islamici immigrati, rispetto agli autoctoni. Ma la difficoltà estrema che gli islamici si adeguino alla cultura occidentale tende a svanire nella misura in cui questa cultura si presenta loro non come ideologia cristiana o capitalistica o democratica, ma tecnica ».

   La tecnica sarebbe per Severino “la punta di diamante” della cultura occidentale. Per un marxista la tecnica da mezzo di produzione è divenuta modo di produzione, asservendo l’uomo alle sue leggi. Il filosofo, perciò, è costretto anche lui a scendere sul terreno dei comuni mortali:

  « Se la razza bianca illanguidisce è perché non è più o non è ancora capace di assumere come scopo l’aumento indefinito della potenza. Se nel mondo occidentale prevarranno le razze che oggi si fanno guidare dall’Islam, sarà perché esse avranno quella capacità. Ma nel momento stesso in cui si saranno mostrate così capaci, non saranno più guidate dall’Islam ma dalla razionalità tecnologica, che esige l’abbandono della tradizione, di ogni tradizione, quella islamica compresa ».

   Alla fine il filosofo borghese è costretto ad arrivare alle stesse conclusioni a cui giunse Marx:  Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere sociale, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.

   Traiamo il tutto a sintesi nelle seguenti tesi:

  • l’Islam, in quanto religione, rappresenta una sorta di manto ideologico che comprende tutte le classi sociali di più aree geografiche.
  • l’Islam, in quanto religione, non può rappresentare un pericolo per il modo di produzione capitalistico che in Occidente ha ancora il suo epicentro.
  • I paesi che si richiamano all’Islam sono e saranno sempre più costretti a sottomettersi alle leggi del modo di produzione capitalistico e dell’accumulazione, cioè a occidentalizzarsi.
  • Il terrorismo islamico è un aspetto molto marginale del tentativo delle masse che si richiamano all’Islam di combattere la miseria prodotta dagli occidentali in quelle aree.
  • Le masse oppresse e sfruttate che si richiamano all’Islam, di fronte all’impossibilità di un aumento indefinito della potenza del modo di produzione e di una redistribuzione più equa delle risorse saranno costrette a scendere sul terreno della guerra aperta nei confronti dell’Occidente con o senza le bandiere dell’Islam.
  • L’Islam proprio perché è un manto ideologico che copre tutte le classi sociali è destinato a far proprie le ragioni delle classi borghesi che aspirano agli stessi livelli dell’accumulazione di quelle occidentali contro le classi proletarie di tutte le aree di loro influenza.

Come si pongono le classi borghesi d’Occidente contro questo corso oggettivamente e storicamente determinato dopo l’attentato di Charlie Hebdo?

 

Armiamoci e partite

Gran parte della propaganda borghese sembra propendere per l’interventismo, per dichiarare guerra alla guerra dichiarata dall’estremismo islamico, e che l’islamismo moderato, cioè borghese, non è in grado di controllare. Per questo l’ex cavaliere Berlusconi, ormai alla disperazione, fa la voce grossa:

  « L’Occidente deve reagire con determinazione e, se serve, tutti gli stati devono essere pronti a dare il proprio contributo, anche con truppe di terra. Intanto si fermi subito il ritiro delle forze dall’Afghanistan e l’Europa, per una volta, non lasci l’iniziativa agli Stati Uniti, che oggi appaiono poco determinati, ma prenda l’iniziativa per un intervento deciso contro Al Baghdadi e il suo califfato ».

   Il povero cavaliere che da un punto di vista borghese astratto sembra essere più realista del re, non si rende conto che per fare la guerra – specie con le truppe di terra – ci vogliono i soldi: è l’argent che fa la guerra, diceva Totò, e la guerra fa il dopo guerra.

   Se andiamo indietro di appena 24 anni, all’estate del 1991 e a quell’operazione di santa alleanza, chiamata Desert Storm, di tutti gli stati dell’Onu con alla testa gli Stati Uniti, possiamo ricordare che furono impiegati ben mezzo milione di uomini e mezzi superiori a tutti quelli impiegati nella seconda guerra mondiale. Nonostante tutte le operazioni successive e l’uccisione di Saddam Hussein l’Occidente si trova con l’aumentato odio dell’area e il tentativo di costituzione di uno stato da parte dell’Isis.

   Le domande da porsi a questo punto sono molteplici, ma tutte riconducibili a una sola: a questo stadio dell’accumulazione capitalistica, i paesi occidentali dispongono della forza economica – che sola diviene forza politica e militare -  necessaria, come nel 1991? Declamare il “Si dovrebbe fare” lascia il tempo che trova se manca la forza di fare quel che si dovrebbe fare da parte imperialista. E’ questo il quadro cui l’Occidente, e con esso il modo di produzione capitalistico, sta andando incontro. Insomma i fatti di Parigi di questi giorni sono la spia di tutte le contraddizioni cui il Sistema del Capitale sta andando incontro.

   I due corni del problema si presentano in questo modo:

  1. Una guerra di tutti i paesi europei unitamente agli Usa contro chi?, contro gran parte dei paesi mediorientali, per una nuova ripartizione coloniale, con Cina, India e Russia che stanno lì a guardare?
  2. Un terzo conflitto mondiale di natura interimperialista tra Europa e Usa contro Cina, India e Russia per la spartizione dell’intera Africa e del Medio Oriente con alla finestra i paesi sudamericani?

   Non inganni la manifestazione dei capi di governo di Parigi con a seguito qualche milione di cittadini che a tutto pensano meno che alla guerra santa. Si tratta di scenari molto lontani dalla realtà. La cosa più probabile è che l’accumulazione generale del modo di produzione rallenti ulteriormente, zavorrando così i paesi imperialisti europei e quello statunitense; avviando così l’intero Sistema ad una situazione di stallo economico, sociale e  politico, di cui l’aspetto militare non è determinante, all’interno del quale è possibile di tutto, meno le due ipotesi paventate.

 

Conclusione

   Più realista e idealista al tempo stesso ci appare la presa di posizione di papa Francesco quando dice: « Oggi i mercati contano più delle persone: è un’economia malata. Dire questo non vuol dire essere comunisti. Anche Paolo VI e Sant’Ambrogio dicevano che la proprietà privata non può essere un diritto assoluto e incondizionato ».

Ha centrato la questione: i mercati contano più delle persone e prima del papa lo aveva detto un certo K. Marx oltre 160 anni fa e se il papa ripete una tesi comunista non può che guadagnarne in indulgenze plenarie.

   A differenza però del papa che condanna ogni violenza degli oppressi e crede nella buona volontà degli uomini e ad essa si rivolge, il materialismo marxista non può che ricordare alle masse oppresse e agli sfruttati di tutto il mondo che di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno. Dunque il papa, a cui concediamo anche il beneficio della buona fede, è un idealista e centinaia di milioni di fedeli cristiani lo sono come lui, perché credono perfettibile questo sistema economico, in quanto malato e dunque guaribile. 

   Ma sono idealistiche anche tutte quelle posizioni che, pur richiamandosi a Marx e al marxismo, stanno lontane anni luce dal materialismo perché ritengono che l’intervento dell’uomo terreno possa correggere le storture delle leggi del modo di produzione capitalistico divenuto ormai Sistema in tutto il mondo; predicano l’armonia, la tolleranza e la pace – ovviamente senza violenza – tra le varie “culture” e le varie “religioni”. Siamo ancora una volta ai buoni propositi.

   Non può essere pertanto la goliardia caricaturista a scoraggiare una credenza religiosa come quella dell’Islam, come non può essere il microterrorismo, per quanto comprensibilissimo, in nome degli oppressi a sconfiggere il macroterrorismo di un modo di produzione. 

   Siamo entrati in una fase in cui sempre più – a causa della crisi del modo di produzione - grandi masse diventano gli attori della storia e pongono la legge delle loro necessità contro le leggi del modo di produzione. E’ uno scontro non tra diverse civiltà, ma dell’unica civiltà umana giunta al culmine di un periodo storico caratterizzato dal modo di produzione capitalistico, dagli esiti incerti. Siamo appena agli inizi.

Michele Castaldo gennaio 2015

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Da Marx a Marx
Da Marx a Marx

Autore Michele Castaldo

MODO DI PRODUZIONE E LIBERO ARBITRIO

Marx e il Torto delle Cose

LA CRISI DI UNA TEORIA RIVOLUZIONARIA

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