Due stuzzichini

da www.michelecastaldo.org e lacausalitadelmoto.blog

Il popolo, la destra, le compagnerie di sinistra e la dirompenza della talpa

Si è accesa una disputa su un accadimento di rilevanza uguale a zero, ovvero sui saluti romani di un gruppo di persone che si sono radunate per celebrare l’anniversario di Acca Larenzia, cioè dell’uccisione di alcuni militanti di estrema destra da parte di militanti di estrema sinistra nel 1978.

   I fatti: « Acca Larenzia è la denominazione giornalistica del pluriomicidio a sfondo politico avvenuto a Roma il 7 gennaio 1978, per opera di un gruppo armato afferente alla sinistra, nel quale furono uccisi due giovani neofascisti appartenenti al Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, assassinati davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larenzia, nel quartiere Tuscolano. A tali fatti è strettamente legata la morte di un terzo attivista della destra sociale, Stefano Recchioni, ucciso qualche ora dopo negli scontri con le forze dell'ordine avvenuti durante una manifestazione di protesta organizzata sul luogo stesso dell'agguato ».

    Dai fatti menzionati ne scaturisce una

onorificenza che ogni anno fanno i militanti di estrema destra, o dichiaratamente fascisti, recandosi sul luogo commemorando i morti col saluto romano, ovvero col braccio teso in avanti e la mano aperta.

   Apriti cielo! « L’ombra del fascismo s’avanza ancora! » « Perché la presidente del consiglio tace?  » e ancora «  Perché non si dichiara apertamente antifascista »?

   Mettiamo i piedi per terra e cerchiamo di ragionare seriamente non tanto sul passato, dove pure molte cose andrebbero chiarite solo per amore della verità, ma siccome la storia la raccontano e la scrivono i vincitori, pazienza.

   Mi sia solo consentito di ricordare che non è proprio da eroi vilipendere due cadaveri, anche se si è trattato dei più mascalzoni fra gli uomini.

   Si dirà: « si, ma ci aveva portati in guerra », il che è vero ma è altrettanto vero che quando il Benito dichiarò a piazza Venezia l’entrata in guerra fu acclamato dallo stesso popolo che poi lo ha vilipeso perché sconfitto da chi – gli angloamereicani – fino a un giorno prima avevano raso al suolo il martoriato paese per poi applaudire quelle stesse truppe che entravano da vincitori in quanto “liberatori” sul nostro patrio suolo nei confronti di truppe prima alleate.

   Visto che siamo ai simboli e alla simbologia, la tanto decantata e pluridecorata senatrice a vita Liliana Segre sta difendendo lo Stato sionista di Israele che dopo 76 anni di oppressione del popolo palestinese si sta rendendo responsabile di un vero e proprio genocidio, ovvero di tentare di arrivare alla soluzione finale nei confronti di un popolo che ha una sola colpa: non arrendersi a voler abbandonare la propria terra. Addirittura si adombra il pericolo dell’antisemitismo nei confronti di chi scende in piazza – e finalmente! – per denunciare il nazismo dello Stato sionista di Israele contro i palestinesi. Mettendo insieme due fenomeni completamente diversi. Sono gli ebrei che devono fare i conti con quello che si pone come Stato per rappresentarli, non chi manifesta contro di esso.

   Ora, andrebbe chiesto ai signori democratici: sarebbe un crimine e un pericolo per la democrazia un saluto romano in ricordo di propri militanti morti in uno scontro ideologico avvenuto 45 anni fa, e tanto peggiore – comparativamente – del genicidio che sta compiendo lo Stato di Israele col sostegno tanto della destra quanto della sinistra in Italia, in Europa e negli Usa? 

   Signori: da quale parrocchiano vi andate a confessare e con quale “coraggio” quell’uomo in tonaca nera vi dovrebbe dare l’assoluzione « in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo »?

   Questo per i credenti, mentre per i non credenti vorrei chiedere, tanto per dirne una, al segretario della Cgil: con quale faccia ti presenti in una assemblea operaia per condannare Hamas, come hai fatto a piazza San Giovanni in ottobre, giustificando così il genocidio dello Stato sionista di Israele?

   L’Occidente rivendica di essere una civiltà democratica? dopo aver seminato per cinquecento anni morte e distruzione? Allora si, l’Occidente è la democrazia dei dominatori sui dominati. Ed allora va detto una volta per tutte che in quanto movimento storico che si richiamava ai valori del comunismo siamo stati tratti in una valutazione storica completamente sbagliata, quella di scambiare la lotta per la democrazia per lotta per il comunismo, ritenendo che la democrazia potesse essere propedeutica alla lotta per il comunismo. Abbiamo preso un abbaglio e in certi casi – come il caso francese nei confronti dell’Algeria – ci siamo comportati da conniventi col colonialismo. Fino a essere poi utilizzati da certe scuole di pensiero filo occidentali in funzione antisovietica, ovvero in una critica feroce e strumentale contro lo “stalinismo” ieri e contro il “putinismo oligarca” oggi.

E se i dominatori hanno usato tutti i mezzi per dominare, perché mai dei dominati non si dovrebbero ribellare con ogni mezzo possibile? Compreso il “terrorismo”? Si provi a comparare il maxiterrorismo degli Stati democratici in tutto il mondo per oltre 500 anni con le azioni del microterrorismo di gruppi di disperati che difendono quello che hanno sotto il proprio suolo in nome della propria gente ridotta alla fame.

   Ora però non facciamo gli ipocriti al nostro interno, nel mondo dell’ideale comunista, e domandiamoci: come mai da che sono iniziati i bombardamenti israeliani contro Gaza non c’è stata in Italia e neppure in Europa, una vera mobilitazione degli operai?

   I dirigenti dei vari partiti di sinistra sono dei venduti al sistema? Può darsi o anche certamente! Ma cosa impedisce a dei lavoratori di organizzare una manifestazione di condanna del genocidio dello Stato sionista di Israele su Gaza? E se anche non la si vuole organizzare perché ci si sottrae anche di partecipare a quelle indette dai vari comitati in difesa della causa palestinese? Forse che Landini e gli altri organizzano i picchetti insieme alla burocrazia sindacale dinanzi alle fabbriche per evitare che i lavoratori manifestino contro il massacro? No! Questo non si verifica, e allora vogliamo o no ragionare delle ragioni vere e profonde che tengono “prigioniera” la classe proletaria? Quella classe che abbiamo ritenuto che ci avrebbe potuto liberare dal capitalismo.  E non sono “le squadracce nere dei fascisti”, a tenerla ferma e a reprimerla, no, sono altre le cause, le vogliamo esaminare o vogliamo continuare a raccontarci che il povero Gesù Cristo morì di freddo? Suvvia cari compagnucci, diamoci una mossa. O pensiamo che appellandoci al po-po-lo lo solleviamo contro il sistema? Oppure pensiamo che ci costituiamo in una nuova lista elettorale per prendere voti e fare “la battaglia” all’interno delle istituzioni, « per aprire il Parlamento come una scatola di sardine e finire poi col fare il governo con Salvini?  ».

   Abbiamo una volta tanto la forza e la capacità di dirla tutta e fino in fondo? Il popolo di questa fase storica in Italia in modo particolare si sta comportando in modo conseguente a come finì il Secondo conflitto mondiale, ovvero aggrappandosi al carro degli Usa, seppure in crisi, nella speranza di salvare la propria condizione di “privilegiati” nei confronti di masse di paesi di giovane capitalismo, ex colonizzati., e in modo particolare degli immigrati che vengono utilizzati in una nuova tratta di neri per soccorrere l’economia occidentale in crisi. E…pazienza se poi come presidente del consiglio c’è una che inneggiava a un movimento nazionalista che prima inneggiava al fascismo. Magari « non in mio nome », dunque fingendo di voltarsi dall’altra parte, di non andare a votare ecc. ma disimpegnandosi totalmente da un terreno di lotta.

   Non bisogna santificare nessuno in modo particolare se ci rivolgiamo al popolo, ovvero un sostantivo che è composto da tre zeri, il che vorrà pur dire qualcosa. Dunque non gli corriamo dietro, c’è già Vannacci, dopo Salvini, che lo fa e molto bene e viene anche allisciato dall’establishment attraverso firme “prestigiose” sui più importanti giornali italiani. Gli si fa addirittura la corte da parte della Lega di Salvini per candidarlo alle europee su una posizione più defilata rispetto alla Meloni troppo prona verso gli Usa.

   C’è una ragione particolare perché il partito della Meloni non vuole assolutamente ricandidare Solinas a presidente della regione della Sardegna. C’è qualche cosa che ha a che vedere con la posizione dell’Italia in questa fase rispetto alla Russia per un verso e rispetto alla Nato e gli Usa per l’altro versante. E Salvini non può far finta di non saperlo, vendere fumo e magari nel tentativo di recuperare butta sul piatto l’ipotesi di candidare Vannacci alle europee.

   A proposito del quale generale Vannacci, ricordiamo che venne difeso, nel suo « diritto a odiare » dai fogliacci di destra, già impegnati a fare una spietata propaganda contro il “modernismo” di sinistra. Mentre il Corriere della sera, che per storia e cultura certamente non è Libero, La verità e/o Il giornale, che senza sparare titoloni in prima pagina come pura propaganda, nelle pagine interne ne prendeva le difese e ne esaltava il ruolo in anni di servizio scrivendo: « è la storia di un militare pluridecorato, che già a 24 anni partecipa in Somalia a una missione per “neutralizzare” i miliziani del signore della guerra Mohammed Farah Aidid, mentre a 26 anni è impegnato in Rwanda durante i giorni del genocidio. Presto scala le gerarchie dell’esercito e viene messo a capo di missioni importanti, ex Jugoslavia ,  Afghanistan. Poi l’Iraq (dove invece a capo della Folgore, si occupa di formare i miliziani locali alla contro insurrezione in funzione anti Isis) ». Insomma un linguaggio, quello del Corriere della sera, neocolonialista e imperialista a tutto tondo con toni che si confanno a chi sa di far parte ancora di un mondo potente, pur se in decadenza.

   Poi però (scrivevo a ridosso del clamore per il libro quale nuova-bibbia del generale) siccome in tutte le carriere si inciampa in qualche passo poco gradito alle altissime sfere lo si promuove per rimuoverlo. Forse è il caso di quanto accaduto a Vannacci che – citiamo sempre dal Corriere della sera - « potrebbero aver pesato due episodi che lui stesso presentò alla procura militare contro i vertici dell’esercito, per le possibili omissioni sulla tutela della salute dei soldati a contatto con l’uranio impoverito. In uno dei due esposti, datato 13 marzo 2019 -57 pagine oltre agli allegati – il generale scrive di soldati “esposti massicciamente in tutta l’area, senza che alcun provvedimento di prevenzione e mitigazione dei rischi fosse stato attuato sino alla data del 08/05/2018 ».

   Dunque tutto si spiega del perché non può essere ricandidato un leghista come Solinas a presidente della regione della Sardegna, perché chi lo ha sostenuto ha avuto a che fare con atteggiamenti « poco chiari » nei confronti della Russia,  si sarà pensato nelle alte sfere d’oltreoceano molto influenti in casa nostra, mentre la  Sardegna è cosparsa di basi  americane e poligoni di tiro. Meglio un fidato servetto del partito della Meloni, più prono verso “gli alleati” in una fase molto complicata come quella attuale.

   Poteva mancare, perciò, una esemplare azione della magistratura contro il personaggio da bruciare sull’altare del melonismo americanista dei tempi moderni?  

   Ora, premesso che non scommetterei un solo centesimo di euro sulla onestà di un amministratore nelle sue funzioni perché il vero amministratore onesto è colui che non viene scoperto, ma – ecco il punto – è onesto finché non viene scoperto. Dunque fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

   Per concludere: stiamo attraversando un vero e proprio pantano sociale dove il meglio che finora si è mosso è la straordinaria risposta in modo particolare in Occidente nei confronti del genicidio dello Stato israeliano nei confronti del popolo palestinese, anche se in Italia siamo stati piuttosto miserrimi come partecipazione, in modo particolare in riferimento alla classe di riferimento del nostro ideale. Ne prendiamo atto e andiamo avanti senza star lì a piangerci addosso. La storia procede il suo percorso, metabolizza le assenze e ne scopre le presenze e le valorizza. È determinismo storico!

   Questo vuol dire che la famosa talpa – di marxiana memoria – sta scavando nonostante tutte le ideologizzazioni e i partitismi di quanti a vuoto si sono richiamati al comunismo, in modo particolare negli ultimi anni. Alla funzione e al ruolo di quella talpa, quale espressione delle leggi di funzionamento del modo-moto di produzione capitalistico è necessario afferrarsi e guardare con fiducia avanti!

 

Michele Castaldo – www.michelecastaldo.org

 

 

Democrazia e genocidio

Anpi nazionale, Anpi Fiorentina, PD e la comunità Ebraica di Milano, nonché il Circolo Arci Ancella, fino al Console Onorario di Israele insorgono contro l’Anpi di Bagno a Ripoli che in vista della ricorrenza del 27 gennaio - il giorno della memoria (giorno della memoria della Shoa) –  sarebbe responsabile di voler organizzare un evento dal titolo: “Mai più: 80 anni fa lo sterminio del popolo ebraico da parte dei nazisti, oggi il genocidio del popolo palestinese da parte dello Stato di Israele”.

   Ora mettendo da parte le motivazioni delle comunità ebraiche di Milano e del Console, sono tutti concordi che l’accostamento delle due tragedie sia improponibile, perchè il Nazismo  aveva pianificato la soluzione finale nei lager dell’oppressione del composito popolo Ebraico, mentre la tragedia Palestinese sarebbe solo frutto delle conseguenze di una guerra “sciagurata”? Delle differenza ci sono sicuramente. Ma chiariamoci subito, l’intera impalcatura dell’establishment democratico e dei governi dell’Occidente non ricorda i morti dell’Olocausto, bensì usa la tragedia degli Ebrei per mirarsi nello specchio e riflettere la propria immagine dell’Occidente e mettere a confronto nazismo e liberalismo inventore della civiltà.

   Il nazismo doveva eliminare ebrei, slavi e zingari (possibilmente anche i comunisti, meglio ancora se ebrei bundisti) per rendere coesa la nazione in una immane contesa nel mercato mondiale che vedeva sbriciolare l’assetto del mercato mondiale confinato da segmenti coloniali travolti dallo sviluppo tumultuoso della produzione mondiale del valore interconnessa. Tra il 1850 e il 1900, come risultato di una giovanile e tumultuosa accumulazione, lo sviluppo della popolazione Europea crebbe a tassi accelerati: 127% in Russia, 70% in Italia, 60% in Francia. Uno sviluppo del modo di produzione che per dare sfogo alla accumulazione mondiale del valore cozzava con la forma del mercato mondiale ostruito dai lacci del colonialismo storico e in particolare imponeva lo sbriciolamento dell’impero Ottomano per snellire gli scambi commerciali verso l’Oriente, che fin lì erano costretti a pagare il dazio per le merci in transito nei suoi porti commerciali del mondo turco-musulmano. Un portentoso moto che insieme ai tratti tipici di urbanizzazione e di sviluppo delle popolazioni delle città, determinava una progressiva immigrazione intra europea dei segmenti di popolazioni e di classi sociali in eccesso nei vari paesi di origine. I popoli ebraici di diverse nazionalità, ma accomunati dalla stessa religione, furono anch’essi trascinati nel vortice dell’unitario processo. Da poche decine di migliaia, prevalentemente concentrati inizialmente in alcune poche città dell’Europa, e ancora nelle campagne agricole delle nazioni Slave dell’est, la popolazione degli Israeliti in Europa decuplicò in 50 anni, raggiungendo i 10 milioni nel 1900 e 14 milioni nel 1920. L’immigrazione intra europea della seconda metà dell’800 necessariamente fu caratterizzata da un flusso altalenante ma massivo da oriente verso occidente, all’interno del quale era di particolare rilievo quella degli ebrei provenienti da paesi dell’Europa dell’Est.  Le classi medie e lavoratrici, già poste nella concorrenza del mercato e della divisione sociale del lavoro, di fronte all’irrompere del fenomeno dell’immigrazione di tipo socio economico vennero pervase dal razzismo sciovinista. Un razzismo che andava a forgiare di nuovo contenuto l’antica discriminazione degli ebrei di carattere religioso precedente e faceva sorgere il moderno antisemitismo per il nesso di causalità imposto dal processo combinato della fase ottocentesca Europea caratterizzata dal rampante risorgimento nazionale e la riluttanza delle comunità Ebraiche a farsi “assimilare” nei nuovi contesti sociali e nazionali in rapida formazione, che viceversa si stringevano intorno alle proprie tradizioni come difesa dal razzismo. 

Infatti, le popolazioni Ebraiche in particolare modo di Polonia, Lituania, Ucraina e Bielorussia in rapida crescita demografica come il resto dei popoli Slavi andavano fortemente a caratterizzarsi in numero o come Ebrei Chassidici (Haredim), ossia tradizionaliste ortodosse ostili agli usi della modernità, oppure dando vita al bundismo come parte separata del movimento europeo dei lavoratori e così attraverso l’immigrazione anche ad influenzare le componenti ebraiche autoctone dei paesi Europei occidentali. Un doppio vulnus al compattamento nazionalistico di tutti i paesi dell’Europa di fronte all’incessante moto storico che avrebbe comportato un balzo in avanti attraverso il violento superamento dei mercati coloniali attraverso le due guerre mondiali. Per la Germania nazista, che si trovò con l’appuntamento con la storia in ritardo, in deficit di sbocchi commerciali attraverso le vie del mare che contano e già abbondantemente punita oltre misura dalle democrazie Occidentali dopo la prima guerra mondiale, gli “slavi” costituivano le potenziali nazioni di ostacolo verso l’Oriente e maggioranza nei confronti delle minoranze tedesche sparpagliate nell’Europa centro orientale, gli ebrei viceversa componenti sociali “antinazionali” per i loro tratti fortemente religiosi ortodossi e se non osservanti sicuri simpatizzanti bolscevichi, socialisti o ex bundisti: divennero queste le premesse materiali che portarono inesorabilmente alla soluzione finale e all’orrendo olocausto definendolo un poco alla volta. Nel compierlo, il nazismo lo giustificò nell’ideologia della supremazia della razza e della nazione, traendo nutrimento dall’humus centrale dell’originario moderno antisemitismo la cui “ragione d’essere” trova la sua radice filosofica nell’illuminismo, un testimone passato di mano in mano attraverso la rivoluzione francese, i “risorgimenti rivoluzionari”, la sinistra Hegeliana (perfino nel socialismo eurocentrico), per arrivare al Nazismo come forma totalitaria della democrazia.  

Lo Stato di Israele, per affermarsi come forma particolare dell’imperialismo Occidentale in Medio Oriente, aveva da risolvere il problema che le comunità ebraiche erano da sempre una esigua minoranza in Palestina. Quindi fin dalle sue origini il sionismo, almeno venticinque anni prima del 1948, aveva realizzato un calcolo economico che per essere una componente maggioritaria in Palestina poteva far leva solo su due fattori:

  • La forza finanziaria dell’occidente che spingeva gli Ebrei Europei a emigrare in una Palestina da colonizzare pro domo Occidente riempendogli il portafogli (nel 1912 le “Agenzie Ebraiche” offrivano 5000 dollari agli Ebrei Europei per trasferirsi in Palestina - più di 150 mila dollari di oggi). Ma per tutti i primi 40 anni del XX secolo solo uno scarso 2% dell’immigrazione ebraica (per motivi socio economici) dei suoi 14 milioni di Ebrei tra Europa dell’ovest e dell’est sceglieva la Palestina e a stragrande maggioranza emigrava in Argentina, Nord America, Australia e perfino in Africa.
  • Realizzare la pulizia etnica dei nativi palestinesi. Il combinato della scoperta dei giacimenti petroliferi del 1908, il maggiore impulso del finanziamento dell’emigrazione ebraica in Medio Oriente, l’olocausto nazista e l’ascesa definitiva della nuova forma del mercato mondiale sulle ceneri del mercato limitato dal colonialismo furono le forze vettoriali che invertirono la rotta dell’emigrazione ebraica, che nel 1948 vedeva una terra di Palestina composta da un 70% di palestinesi, un 30% di ebrei al loro volta per i 4/5 essere il risultato dell’immigrazione colonialista europea (bianca occidentale) precedente alla seconda guerra mondiale.

In sostanza il Sionismo fu più razionale del nazismo perché era evidente di essere una esigua minoranza e che l’unica via per affermarsi era la rimozione degli Arabi dalla Palestina. Le atrocità compiute tra gli anni ‘30, ‘40 e nel 1948, il massacro di Deir Yassin è roba che può ascriversi agli orrori della storia, la differenza circa la proporzione dei massacri differisce perché i palestinesi sono scappati in massa. Lo stato di Israele fu anche ragioniere. Aveva previsto che comunque una minoranza ridotta di palestinesi fosse necessaria come forza lavoro ridotta al terrore e in attesa di “assimilare al sionismo” quegli ebrei di livello inferiore proprio perchè arabi e troppo Orientali.

E necessariamente il sionismo ha attinto dalle casse della finanza occidentale anche per marginalizzare l’influenza identitaria della corrente storica del chassidismo haredim ebraico tra gli ebrei, anch’esso di ostacolo allo stesso risorgimento nazionalistico indotto dalle forze economiche impersonali della rapina da occidentale, e tollerare la sopravvivenza di poche comunità haredi come guscio spopolato, ma utile nell’ambito più generale ideologico di giustificare uno stato e patria comune tra popolazioni di nazionalità europee diverse aventi in comune solo la religione.

La tragedia attuale a Gaza, a Jenin, a Gerusalemme e in tutta la Cisgiordania non sorge improvvisa, ma affonda nel calcolo economico di quasi un secolo fa, dove solo la pulizia etnica e il genocidio dei palestinesi poteva e può assicurare che gli ebrei in Palestina possano essere una maggioranza sui nativi palestinesi e arabi. L’interregno dal 1948 a oggi è stato solo una pausa temporale, giunta a termine per la conclusione definitiva del ciclo espansivo e violento del mercato mondiale e del dominio occidentale all’interno di esso. L’ideologia di Israele di cui si è forgiato il suo “stato-chiesa” si è sempre caratterizzata come forma “giudaica” particolare del suprematismo razzista dei bianchi occidentali sugli arabi e sui colorati, ivi incluse quelle componenti nazionali di ebrei arabi, etiopi, nord africani e yemeniti. In sostanza i due genocidi differiscono nel tempo per motivi di fase ascendente e discendente dell’unitario modo di produzione.

   Non è possibile l’accostamento per il numero di morti? Anche qui la differenza risiede nei tempi diversi e nelle condizioni generali del modo di produzione che non riesce più a espandersi violentemente all’infinito e cade verso il precipizio.

   Israele sta compiendo il massimo sforzo nel suo genocidio dei palestinesi: o sopravvivenza di Israele e pulizia etnica definitiva, oppure il suo collasso generale per la fine di un ciclo storico che sovvertirà l’intera trama del mercato in Medio Oriente e Nord Africa e darà avvio a una nuova dimensione che va dal Giordano al Mare su cui è impossibile e inutile anticiparne una definizione.

Ma nel solco tracciato della soluzione finale per i palestinesi, le leggi impersonali di un modo di produzione stanno facendo mancare la terra sotto i pilastri su cui si fonda Israele. In termini di popolazione Israele non è la grande Germania: 9,7 milioni, di cui il 20% sono palestinesi, il 13% sono proprio le comunità haredim in crescita demografica tre volte superiori di tutte le altre componenti sociali laiche (con una media che oscilla da 5,5 a 7,7 figli per donna), i suoi giovani rappresentano il 40% della gioventù israeliana, rifiutano l’obbligo al servizio di leva, si lasciano coinvolgere molto poco nelle attività sociali, se lavorano sono impiegati part time, vivono di sussidi da parte dello Stato, nella loro maggioranza non si identificano nello Stato e a breve saranno il 30% della popolazione totale. 

   La produttività di Israele scivola verso il basso, combinando penuria di forza lavoro per portare a compimento lo scopo della guerra che è l’eliminazione di residenti palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania, con penuria di forza di leva militare. Ciò accade per ineliminabili e irreversibili fattori materiali, mentre l’Occidente, schierato in modo incondizionato con Israele, dunque nel genocidio dei palestinesi, è preso dalla difficoltà di finanziare lo stato ebraico all’infinito. Questo mette la nazione ebraica di fronte alla sua fragilità interna, al rischio di scomposizione delle sue diversissime “identità ebraiche”, si trova esposto per l’opposizione delle nuove generazioni di ebrei occidentali all’estero e per le iniziali fratture al suo interno in quanto composizione dello Stato sionista. Soprattutto la fragilità di Israele infonde coraggio e forza alla Resistenza Palestinese unitaria che resiste e giustamente combatte, così come in Occidente, in modo particolare in Inghilterra e negli Stati Uniti, la denuncia di genocidio viene estesa al mandante. Un mandante e padrino che non era facilmente riconducibile al moto storico di affermazione della democrazia e delle società liberali in Occidente circa l’olocausto degli ebrei da parte dei nazisti, ma che è evidente e palese oggi in quello dei palestinesi, sebbene possiamo storicamente constatare quanto anche l’olocausto degli ebrei abbia recato enormi vantaggi alle democrazie occidentali, favorendo l’arruolamento dell’antico popolo ebraico oppresso come popolo carnefice e oppressore per conto dell’imperialismo occidentale, che ora siede in quanto Stato di Israele tra i dominatori e massacratori democratici dei popoli sfruttati dei paesi del cosiddetto sud del mondo.

Detto perciò dell’accostamento dell’olocausto da parte del nazismo tedesco contro gli ebrei e dello Stato ebraico contro i palestinesi a Gaza è d’obbligo la presa d’atto che lo Stato israeliano, che agisce in proprio e per conto dell’insieme dell’Occidente, non solo non sta vincendo la guerra a Gaza e contro Hamas, ma si sta sfaldando ed è a rischio di collassare come nazione.

  

Alessio Galluppi – lacausalitadelmoto.blog

 

Note

Nota 1

Pubblicità sui quotidiani degli Stati Uniti per la colonizzazione imperialista della Palestina finanziate dalle “agenzie ebraiche occidentali” durante i primi anni 20.

Nota 2

Secondo uno studio governativo del 2019 [https://en.idi.org.il/articles/26911], le componenti Haredi ebraiche vengono categorizzati in 4 distinte fasce sociologiche. Denominati come “ultra ortodossi”, per connotarli con una accezione negativa, vengono classificati in “modernisti”, “modernisti moderati”, “tradizionalisti” e “conservatori”. Le componenti tradizionalista e conservatrice compongono il 60% delle composite comunità religiose degli Haredi.

Il senso di non appartenenza nello stato di Israele è diffuso e oscilla tra il 91% e l’89% nelle componenti maggioritarie più ortodosse. Tra questi oltre al rifiuto dell’obbligo di leva si accompagna la denuncia pubblica dell’occupazione dei territori palestinesi.

Mentre il moto generale della operazione della pulizia etnica della Striscia di Gaza prova a fare breccia nelle condizioni materiali di vita degli ultra ortodossi affinché accettino le ragioni della chiamata alle armi, si assiste anche con maggiore frequenza ai loro pestaggi commessi dalla polizia israeliana in particolare a Mea Shearim, storico quartiere di Gerusalemme subito fuori le mura della città antica, insediamento delle prime comunità ebree aschenazi che si trasferirono in Palestina sotto l’impero ottomano a metà ottocento e che ora rischia – se i suoi giovani persistono nel rifiuto di arruolarsi in guerra contro arabi e a sostenere le ragioni dei palestinesi – di divenire il primo “ghetto ebraico” in Israele.

Tra le componenti più conservatrici e tradizionaliste solo il 9% e l’11% identifica l’ebraismo con lo Stato di Israele. Viceversa tra le componenti più aperte verso la società laica e i suoi “stili di vita” il sentimento di appartenenza allo Stato e alla nazione ebraica ha raggiunto il 40% negli ultimi due decenni. I settori sociali che si identificano nello Stato vanno a comporre quelle forze politiche di ebrei aschenazi e mizrahi (ebrei arabi) di tipo “ultra ortodosso sionista”, che seppure realizzano la benedizione religiosa e messianica della pulizia etnica della Palestina, chiedono però in cambio il continuo finanziamento incondizionato delle proprie comunità religiose, e sono state il pendolo delle crisi di governo degli ultimi 5 anni

Nella prima tabella, la fascia azzurra chiara rappresenta la percentuale di uomini in età lavorativa occupata. Mentre la seconda tabella riporta il numero di figli per donna tra le 4 componenti. Nelle comunità religiose Haredi i giovani si sposano molto presto e fanno figli da subito, andando sempre più velocemente la composizione della popolazione tra “laici” e “religiosi” nella formazione delle nuove generazioni. Gli uomini occupati tipicamente sono impiegati in lavori part time e contribuiscono solo al 2% del totale delle entrate fiscali. Le scuole Haredi (“yeshiva”), dove i giovani studiano la Torah senza limite di età, sono totalmente finanziate dallo Stato, così come ogni nuova famiglia Haredi riceve un salario mensile di 400 dollari. L’oscillazione della composita comunità religiosa degli ebrei Haredi è una variabile imprevedibile di una nazione che ha dovuto caratterizzarsi come l’unica democrazia al mondo che non prevede una divisione tra “Stato” e “Chiesa”, una caratteristica che ora sta mettendo la società civile laica in ebollizione contro i privilegi degli Haredi e fattore potenziale di scontro e guerra civile tra le componenti e classi sociali “laiche” e quelle “religiose”, dunque un ulteriore elemento di implosione di Israele nonostante non sia direttamente e immediatamente collegato alla questione palestinese.

Una divaricazione che si delinea in maniera ancora più marcata e netta negli Stati Uniti, proprio nelle sue componenti laiche e soprattutto tra le generazioni nate dalla fine degli anni ’90 in poi, che vanno a polarizzarsi in contrapposte mobilitazioni nelle piazze e nei Campus Universitari, tra giovani ebrei che sono contro il sionismo e per la causa palestinese e altri giovani che si mobilitano a sostegno dello Stato sionista.

[https://www.haaretz.com/israel-news/2023-12-26/ty-article-magazine/.premium/polarized-israel-gaza-war-is-forcing-young-u-s-jews-to-choose-sides/0000018c-a608-db79-abee-f6ad3b1d0000?]

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Da Marx a Marx
Da Marx a Marx

Autore Michele Castaldo

MODO DI PRODUZIONE E LIBERO ARBITRIO

Marx e il Torto delle Cose

LA CRISI DI UNA TEORIA RIVOLUZIONARIA

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