Chi segue questo sito si chiederà perché viene cambiato il titolo da «Il proletariato, una giovane classe determinata rivoluzionaria di fatto» a «La causa delle cose».  Il motivo è molto semplice: ho voluto rendere più esplicito la natura del soggetto sociale, cioè il movimento della materia e gli effetti che tale movimento produce.

   Certo, in una società dove si esalta la soggettività personale o di classe come artefice dei movimenti tellurici della società, un punto di vista che pone al centro degli accadimenti sociali la natura impersonale dei ruoli dell’attuale modo di produzione appare del tutto anacronistica, ma rispecchia pienamente i contenuti degli articoli pubblicati.

   E il proletariato che ruolo svolge o svolgerebbe rispetto a «la causa delle cose»? E’ aperta la discussione fra quanti intendono interrogarsi seriamente  sulla profonda crisi del modo di produzione capitalistico che si avvia inesorabilmente verso un caos implosivo non alla ricerca spasmodica del “soggetto”, persona o classe.  Il punto in questione non è “chi” deve, può fare o farà la rivoluzione, ma quali “cause” produrranno “cosa”, perché gli uomini sono in balia degli eventi da loro stessi inconsapevolmente prodotti e ai quali non possono porre rimedio proprio perché sono privi del (cosiddetto) libero arbitrio. 

   Il materialismo, a differenza di ogni deismo o idealismo, studia e analizza la storia partendo dal movimento delle forze ignote della materia che produce determinati eventi storico sociali come la lotta di classe. Il modo di produzione capitalistico più che essere il frutto di un gruppo di personalità o di una classe è il punto di arrivo di un lungo periodo di ricerca da parte dell’uomo di nuovi strumenti di lavoro e con essi di un diverso modo di organizzare la vita sociale, quella che comunemente si definisce civiltà.

   Questo percorso ha portato al moderno modo di produzione capitalistico e ai ruoli complementari, seppure confliggenti, in cui esso assegna a una parte – una classe – la funzione di dominio rispetto alle altre. Per questa ragione strutturale le classi si tengono insieme finché le leggi economiche hanno l’ossigeno per alimentarle. Il proletariato è classe fra altre classi, seppure con un ruolo specifico, ma non ha un interesse specifico che lo porterebbe cioè fuori dalla complementarietà, tale da avere come obiettivo l’abbattimento del modo di produzione capitalistico. In questo senso non ha un ruolo di soggetto nel movimento generale del modo di produzione, perché non può prescindere dalla propria complementarietà.

   Come ogni cosa terrena anche il modo di produzione capitalistico ha avuto un suo inizio, un suo straordinario sviluppo e avrà una sua fine. Il punto in questione è se esso sarà abbattuto da un soggetto sociale che nel modo di produzione si organizzerà e darà l’assalto per instaurare un nuovo potere, secondo la concezione che esprimevano Marx e Engels nel Manifesto.

   La storia – l’unico vero e inesorabile giudice – ha dimostrato che quella tesi se poteva essere applicata nel trapasso dalla società feudale alla società borghese, perché il capitalismo cresceva già con lo sviluppo delle forze produttive durante il feudalesimo e quindi lo sviluppo della nuova classe che avrebbe poi dominato, cioè la borghesia, la stessa tesi non può essere applicata per quanto attiene all’inevitabile implosione del modo di produzione capitalistico. Il capitalismo – come movimento di classi complementari – non lascia che un nuovo modo di produzione si sviluppi in esso e dunque non genera una nuova classe destinata poi a dominare. Sicché il nuovo soggetto non viene partorito con la possibilità di trasferire a sé i mezzi di produzione dalla classe antagonistica ma dal declino e dall’implosione del modo di produzione capitalistico che porrà le classi oppresse e sfruttate - che per comodità chiamiamo proletarie - di fronte ai nuovi destini della storia. Solo in questo senso, cioè mentre si verifica la detta implosione, ha valore enunciato “il proletariato, una giovane classe determinata rivoluzionaria di fatto”.

   Si tratta di spostare in avanti una riflessione teorica partita da Marx e da Engels, che rischia altrimenti di arenarsi. Un modo per applicare correttamente il materialismo storico.

   Il titolo La causa delle cose si richiama immediatamente alla Natura delle cose di Tito Lucrezio Caro, un autore non molto in uso purtroppo anche fra quanti si richiamano al marxismo e al materialismo. Sì, il De Rerum natura fa da sfondo a La causa delle cose nel senso che il movimento dialettico della materia  produce fatti e misfatti degli uomini. Per Lucrezio – e altri autori della stessa scuola – tutta la natura, con l’uomo come parte integrante di essa, è materia, e dunque composizione e scomposizione atomica, cioè materia in movimento.

   La ricerca della causa delle cose non è soltanto un metodo d’indagine, ma già un modo di essere attratti e schierati, e di mettere al centro delle questioni sociali non un pensiero alternativo di tipo ideologico capace di attrarre a sé e di influenzare il comportamento di individui, ceti e classi sociali, ma la certezza che dal movimento proprio della materia può e deve emergere quella forza data dalle necessità che si organizzano in soggetto.

   Dunque non un soggetto a priori di natura taumaturgica, ma un movimento degli oppressi improvviso che diviene soggetto rivoluzionario, suo malgrado.

 

 

Michele Castaldo settembre 2016   

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Da Marx a Marx
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Autore Michele Castaldo

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