Dunque l’Italia si avvia in ordine sparso alla riapertura di quasi tutte le attività. Vale la pena ragionare con fredda lucidità su quanto finora accaduto che fa da sfondo a quanto potrà accadere nell’immediato e prossimo futuro. Insisto molto sulla fredda lucidità, perché c’è un eccessivo vociare un po’ da tutte le parti che non favorisce la comprensione dei problemi che sono seri e gravi.

   Come sempre cerchiamo di partire dai fatti e il relazionarsi ad essi da parte di personaggi che rappresentano in vario modo le differenti realtà della società, fra cui la Chiesa Cattolica che riveste tuttora – anche se sempre meno – un ruolo di primo piano nelle relazioni con il cosiddetto mondo civile, ovvero quello della produzione, dell’economia, della cultura e dello Stato. Un potere terreno, inutile ribadirlo, enorme, con centinaia di milioni di aderenti a vari livelli, un vero e proprio popolo mondiale del quale bisogna tenere conto. Un popolo che di fronte a quanto sta accadendo, a proposito del Covid-19, è certamente impaurito nella sua stragrande maggioranza, mentre nelle alte sfere del mondo ecclesiastico c’è seria preoccupazione almeno quanta quella di banchieri, capitani di industrie e quanti ad essi collegati. 

   Su La Stampa di Torino

di giovedì 23 aprile c’è una interessante intervista al cardinale Angelo Scola sulla quale è necessario appuntare l’attenzione, perché la sinistra, educata alla scuola dei mangiapreti della rivoluzione francese, è incapace di leggere nei rappresentanti il portato sociale dei rappresentati. Triste dirlo ma questo è.

   Dice l’alto prelato: «Dopo questa crisi, politica e finanza a misura d’uomo». Si tratta di una vera e propria indicazione politica. E precisa: «Economia, finanza e politica saranno chiamate a rimettere al centro la persona, con una speciale attenzione ai poveri». Prima lucida confessione: finora l’economia e la politica non hanno messo al centro la persona. Dunque la Chiesa Cattolica suggerisce di porre un’attenzione ai poveri, in modo particolare gli anziani e gli immigrati, perché insieme possono costituire «come dice il Papa, la cultura dello scarto».

   Tanto di cappello di fronte a una dichiarazione del genere. Il Papa ovviamente interpreta i sentimenti profondi che permeano il popolo indipendentemente se di fede cattolica o meno. Il cardinale a un certo punto dice: «L’uomo vive come relazione o non vive». Lui esprime in questo modo un concetto filosofico sul quale la sinistra dovrebbe incominciare a riflettere se vogliamo attrarre le turbolenze delle nuove generazioni scosse da una crisi senza precedenza nella storia. Perché se è vero – come è vero – che gli ecclesiastici di tutte le religioni sono degli studiosi, è altrettanto vero che nel nostro campo abbiamo, oltre a tanti cialtroni, fior di serissimi pensatori ai quali poter fare riferimento. In questo caso ne cito uno, J. Dietzgen, (un autore molto stimato da Marx) che in L’essenza del lavoro mentale umano (Mimesis, 2009) potrebbe fare scuola a un certo materialismo cattolico quando scrive: «Il mondo è e consiste solo di connessioni. Separata da questa connessione, una cosa cessa di essere. La cosa è “per sé” solo in quanto è “per un altro”, solo in quanto agisce o appare» (p. 57). Vallo a spiegare a tanti sovranisti di sinistra, a professoroni e dotti mestieranti della politica e degli atenei. È tempo perso. 

   Perché è necessario calarsi in questo concetto di altissimo profilo? si chiederà il lettore. Perché a differenza di in certo liberalismo di destra o di “sinistra”, il cardinale coglie nel segno: la società non è composta di individui liberi, no, ma di relazioni e l’insieme di queste relazioni compongono un movimento storico unitario all’interno del quale tutto si tiene o niente si tiene. Sicché gli intellettuali di sinistra, non comprendendo questa “semplice” verità non sono in grado di capire che l’insieme di relazioni o regge del tutto o salta del tutto. Mentre l’alto prelato, e non è il solo ovviamente, avverte il pericolo e mette in guardia «politica e alta finanza» contro il pericolo di un crollo – perché questa è la vera questione – la sinistra condanna il liberalismo “borghese” non per quello che esprime, cioè l’insieme dei rapporti sociali, ma per come li esprime. Altrimenti detto: mentre per il cardinale è l’insieme dei rapporti a rischiare di saltare, per la sinistra è il liberalismo che deve essere corretto. Detto in parole ancora più povere: la sinistra è alla coda della Chiesa, consapevolmente o meno, e cerchiamo di spiegare perché. 

   Dice Dietzgen «La scienza induttiva ha modificato il concetto di causa in modo sostanziale. […] Essendo ancora inesperto, l’uomo misura la realtà oggettiva con un metro soggettivo, giudica il mondo prendendo se stesso come criterio. E poiché egli produce in base a un progetto e a un’intenzione, attribuisce questo suo modo d’essere umano anche alla natura: ritenendo che, come egli è causa separata e distinta di quanto produce, anche i fenomeni del mondo sensibile abbiano una propria causa creatrice esterna» (p.80). Certi cattedratici dei nostri giorni dovrebbero cercare un angolo buio per nascondersi di fronte a questo umile operaio chimico con l’amore per la filosofia.

   Riepilogando: il prete legge nei fatti oggettivi la possibilità del crollo dell’insieme dei rapporti sociali e non si appella al padreterno per evitarlo, ma alla volontà degli uomini, della politica e della finanza, cioè del potere terreno; la sinistra, incapace di saper guardare oltre la siepe, finisce al corteo del cardinale e di Papa Francesco che prega Dio per i poveri, perché freni l’ira della natura contro l’uomo, mentre la Chiesa opera per via terrena. Ovvero la doppia azione del cristiano: terrena e divina, tanto «il contenuto della fede è qualcosa di acquisito senza fatica», dice ancora Dietzgen (80)» ma gli interessi terreni siano ben protetti. 

   

Fase e fasi  

   Lo diciamo subito, senza nessuna possibilità di essere fraintesi: non esistono fasi diverse in questa fase. Questo è un chiacchiericcio per il popolo, e della parte più ottusa d’esso. È l’insieme di questa fase, che è successiva a quella precedente, cioè alla floridezza dello sviluppo dell’accumulazione capitalistica. Una fase, questa, di crisi acuta del modo di produzione capitalistico di cui anche il Covid-19 è limpida espressione. 

   Qual è il paradosso? Che le varie categorie, o classi che dir si voglia, di capitalisti, piccoli, medi e grandi, fanno i questuanti nei confronti della Stato per essere finanziati e far riprendere l’economia. Che modo di ragionare è questo? Siete la classe che vuole continuare a tutti i costi questo modo di produzione e chiedete i soldi agli Stati per farlo? Ma allora non avete gli attributi per fare i capitalisti, perché cianciate tanto sulla bontà del sistema che difendete?!

   Certamente il Covid-19 è arrivato nel momento peggiore per l’insieme dell’umanità e ognuno si lamenta partendo dalla propria collocazione; e dunque è del tutto “legittimo” che lor signori, spingano per passare subito alla “fase 2”. Hanno tante “buone ragioni” perché se si continua con il blocco della produzione si perdono i clienti e le commesse a favore di altri capitalisti di altri paesi concorrenti. Sicché il filosofo Cacciari si preoccupa che alcuni capitalisti possano, per questa ragione, suicidarsi.

    Ecco finalmente giunti alla questione. Dunque torniamo al cardinale e alla sua tesi di fondo, ovvero alla «politica e alla finanza», a come cioè gli uomini di questi due settori dovrebbero agire da oggi in avanti. Cerchiamo di leggere fra le righe il suo messaggio di fede e – innanzitutto - a chi è rivolto. 

   Dice l’eminenza cardinalizia «Mi hanno impressionato le potenti immagini di Papa Francesco che la sera di venerdì 27 marzo attraversa, solo e sotto una pioggia battente, Piazza San Pietro deserta per affidare tutta l’umanità al Crocifisso e al cuore della Vergine. […] Ma è lo stesso Papa ad affermare con forza che alla vita della Chiesa è necessaria la presenza del popolo». 

   Ecco il messaggio terreno per i comuni mortali: alla Chiesa serve il popolo, cioè gli acquirenti di quei prodotti che Santa Madre Chiesa produce: Battesimo, Cresima, Comunione, Matrimonio, Estrema unzione e Funerale. In nome degli interessi economici? “No”, in nome della coglioneria popolare. Sicché allo stesso modo del singolo capitalista che perde in profitti per le mancate produzioni e vendite, la Chiesa cattolica perde in profitti perché non si possono produrre i sacramenti dalla nascita alla morte per il popolo coglione. 

   Ora, che l’alto prelato sia originario della regione con il maggior numero dei morti di questo periodo per il Covid-19, e che il suo cuore sia sofferente, è fuori di ogni dubbio. Che sia anche animato di buoni sentimenti, è probabile. Ma la forza degli affari supera la soglia del dolore e si impone come forza a determinare il comportamento della Chiesa cattolica, che non può vivere in miseria in un mondo così ricco. Tra l’altro il cardinale potrebbe sempre obiettare che durante tutto questo periodo di quarantena molte fabbriche hanno continuato a funzionare, comprese quelle del bresciano che producono armi e non solo. Volete che un matrimonio festeggiato con tanto di abito da sposa, di invitati distanziati in una Chiesa addobbata di fiori profumati, fra le lacrime dei genitori, sia più pericoloso? E che dire di tante bambine vestite da suore con l’abito bianco, la croce sul petto e il giglio profumato in mano mentre posano per il filmino? La primavera e l’estate sono le stagioni delle cresime, comunioni e matrimoni. Se ai lieti eventi si aggiungono quelli tristi come i funerali, beh, è un vero e proprio business. Su via, non esageriamo, anche perché da un punto di vista scientifico si hanno seri dubbi che sia più sano e si corrano meno rischi chiusi in casa che passeggiare all’aria aperta. E poi le chiese, si sa, sono alte, ampie e areate.

   In che modo il prelato ritiene che debba essere gestita la “fase 2”? «Relazioni buone e amicizia civica sono i pilastri importanti di una ripartenza», e sia, ma in che modo, domanda il signore della porta accanto?  «L’azione sociale, l’economia e la finanza e, per finire, la politica, dovranno ripensarsi rimettendo al centro la persona e i corpi intermedi con una speciale attenzione ai poveri e agli emarginati» 

   La questione che ci preme mettere a fuoco dovrebbe ruotare intorno a un solo argomento, rispetto al quale tutti prendono le distanze: come si sono prodotti i virus degli ultimi 100 anni e a quali virus andiamo incontro continuando a produrre merci e mezzi di produzione come si producono oggigiorno. Il dramma consiste in questa “semplice” verità, perché se addirittura il Papa è costretto ad ammettere che questo modello sociale ha fatto ormai il suo tempo perché non è più a misura d’uomo, perché non può essere messo in discussione? Eppure tutti ci girano intorno senza affondare la lama, e cioè: si può produrre o no in modo diverso da come si è prodotto ormai da circa 500 anni? A questa domanda si dovrebbe tentare di rispondere 

   Il punto non è se sostituire un presidente della Confindustria con un altro, un capitalista con un altro, un direttore di banca con un altro, oppure – come consiglia il cardinale Scola – di appellarsi ai politici e alla finanza per alleggerire la povertà; o ancora di sconfiggere a ogni costo il liberismo a favore di una umanizzazione del capitalismo, come la gran parte della sinistra fa. Siamo sinceri: ormai ha fatto il suo tempo anche un certo lottacontinuismo di estrema sinistra da anni settanta del secolo scorso, sicché strombazzare contro i padroni assassini, mafiosi e camorristi sa più di moderno savonarolismo che di comunismo, perché più si personalizza il capitalismo più lo si nega come movimento storico impersonale, e questo non aiuta a sciogliere il nodo di fondo: il modo di produrre in funzione del profitto per il singolo capitalista o per organismi capitalistici, o per enti statali aventi come principio base la formazione del capitale e la concorrenza tra le merci. È perfettamente inutile girarci intorno: il problema è questo. E lo è a maggior ragione per chi si richiama al comunismo novecentesco, dopo che Russia e Cina, in modo particolare, oltre tutti gli altri paesi che agli stessi valori si sono giustamente richiamati, sono finiti nel vortice delle leggi del capitalismo. Se si produce in competizione per estrarre plusvalore, dunque profitto, si deve calpestare per causa di forza maggiore – cioè per battere la concorrenza – ogni altro valore che si riferisca all’uomo. 

   A questo punto del modo di produzione capitalistico, proprio perché si avvia verso la catastrofe, al di là della volontà dei capitalisti e dei loro servi che sono tirati per i capelli nel vortice della concorrenza e non possono vedere oltre il proprio naso, bisogna dire la verità, senza veli, senza immergerla in una foresta di chiacchiere, guardandoci in faccia, contro – se necessario – un certo umore popolare, pur se maggioritario. Guardateli gli Speranza e i Di Maio a svolgere il ruolo dei servi sciocchi al servizio di sua maestà il capitale. Osservate il Beppe Grillo fare il bavoso nei confronti dell’Europa capitalista.

   Riepilogando, non neghiamo la buona volontà di nessuno, dunque neppure ovviamente del cardinale Angelo Scola. Comprendiamo perfino le “buone” ragioni di singoli capitalisti che pressati dalla concorrenza e dalla crisi sono costretti a mandare al macello  milioni di operai, di pensionati e di immigrati, insieme agli stessi propri cari. 

   Non diversamente stanno le cose per un Landini che vede il “dopo” virus come il cardinale: «Pensare che la soluzione per uscire dall’emergenza sia ripetere gli errori che ci hanno portato in questa situazione è inaccettabile». Il punto è proprio questo, il ritenere «errori» quelle che invece sono leggi di un movimento storico a questo punto del suo sviluppo che costringono – lo ripetiamo fino alla noia – le parti complementari a un comportamento obbligato. Parliamo dell’Italia, ma vale per il mondo intero, comprese e non escluse Cina, Russia, India e così via. 

   Quello che ci deve premere non è immaginare che persone diverse negli stessi ruoli modifichino le loro funzioni. In questione non è l’organizzazione di un capitalismo diverso, no, in questione è il modo di produzione, questo modo di produzione a questo stadio di sviluppo che si avvia inesorabilmente verso una catastrofica implosione.    Pertanto la fase, questa fase, è aperta alla rivoluzione attraverso l’interludio torbido che ha imboccato.  

    Vorrei chiudere queste note con un appello a quelle sparute forze di estrema sinistra: compagni cari, noi della generazione degli anni ’60 e ’70 del ‘900 abbiamo già pagato un alto costo politico per esserci illusi su una fase che era tutt’altro che rivoluzionaria. Si sono bruciati migliaia di compagni ed energie generose. Questa fase è diversa per qualità e quantità, proprio perché siamo entrati in un interludio torbido, storicamente determinato. Se dovessimo continuare con lo stesso spirito soggettivista di quegli anni faremmo pagare alle nuove energie che si vanno svegliando con questa crisi un costo estremamente maggiore consegnandole all’impotenza, alla depressione e allo sconforto, quando non direttamente ai nemici dell’emancipazione sociale cui tendiamo, perché la rivoluzione non la fanno i rivoluzionari, ma i milioni di affamati e oppressi che questa  crisi da Covid-19 o quella immediatamente successiva provocheranno al modo di produzione.

   La causa dei virus, già presente durante il comunismo, al punto che   «Nel 1920, la Russia fu il primo paese a istituire un sistema sanitario nazionale centralizzato interamente pubblico», riferisce Laura Spinney che prosegue:  «quando il governo bolscevico chiese, nel 1924 – alle facoltà di Medicina di sfornare dottori, che, tra le altre cose, “sapessero studiare le condizioni occupazionali e sociali che fanno insorgere le malattie, e avessero la capacità non solo di curare le malattie ma anche di suggerire i modi per prevenirle”». Sono trascorsi 100 anni e nel paese più ricco, più “democratico” più liberale al mondo, come gli Usa, la Sanità pubblica è semplicemente vergognosa. 

   Sicché la denuncia di quelle cause devono rappresentare il corpo vivente dell’agire rivoluzionario di questa fase a fare la differenza nei confronti di un modo di produzione che si va decomponendo in un caos generalizzato. Si tratta di accompagnare le masse a bruciare l’illusione che questo modo di produzione possa riprendersi. E lo diciamo con parole non nostre, ma di illustri sociologi come Ralf Dahrendorf in Quadrare il cerchio di 25 anni fa, riportate da Maurizio Molinari su Repubblica di sabato 25 aprile: «La globalizzazione trasforma gli uomini in animali da combattimento, con una competizione all’eccesso, la scena è il Pianeta, portando alla nascita di una classe media anonima priva di radici, con un impatto socialmente devastante». Ecco il quadro, molto diverso e per questo motivo «ben più sofisticato e temibile della povertà novecentesca», aggiunge il nuovo direttore di Repubblica, e da parte nostra va aggiunto che corrispondeva a una fase di espansione del modo di produzione capitalistico e alla possibilità di comprare la classe operaia delle metropoli grazie ai proventi del colonialismo e dell’imperialismo.

   Proprio perché l’azione delle masse arriverà puntuale non serve il lottacontinuismo che si presenta come una sorta di savonarolismo dell’epoca moderna, interpretato da certe organizzazioni di estrema sinistra. Lo ribadisco in modo perentorio: il nemico non è il capitalista, no, ma il capitale e il capitalismo, cioè l’insieme dei rapporti sociali a cui si faceva cenno in apertura. Rapporti nei quali gli operai, quelli occupati, saranno costretti a lavorare in condizioni ancora più disagiate ed esposti perciò maggiormente ai pericoli del lavoro e al contagio, ma sono chiamati a battere la concorrenza di altri operai, che producono la stessa merce e che lavorano nelle stesse condizioni, e magari in altre nazioni. Ma si tratta degli stessi rapporti che fanno dire al nuovo direttore di La Stampa il 25 aprile: «Il dominio della Tecnica sulla Natura e sulla Politica ci ha illusi di essere infallibili e immortali. Il Covid ci ha presentato il conto. Dobbiamo imparare la lezione». In che modo, chiede il signore della porta accanto? «Non facendo un passo indietro, verso un Medio Evo pauperista e anticapitalista, ma un salto in avanti». I riflessi di questi pensieri li ritroviamo sintetizzati ed esposti dai balconi in quell’«Andrà tutto bene», ovvero nell’illusione che il tutto possa tornare come prima, più di prima e meglio di prima. Mentre la voce del padrone maliziosamente avverte nello stesso articolo: «È la scienza, la ricerca, la tecnologia che ci salveranno dal Male, non la famosa e fumosa decrescita felice». Di fronte a questa illusione certi nostri appelli e parole d’ordine non servono e possono essere addirittura controproducenti. Il nemico è purtroppo anonimo e tremendo e lo sarà altrettanto la rivoluzione.   

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Da Marx a Marx
Da Marx a Marx

Autore Michele Castaldo

MODO DI PRODUZIONE E LIBERO ARBITRIO

Marx e il Torto delle Cose

LA CRISI DI UNA TEORIA RIVOLUZIONARIA

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