In morte di Diego Armando Maradona

   Rendo omaggio, da umile amante del calcio, al più grande calciatore e personaggio che la storia moderna ha messo sotto i nostri occhi. E ad alta voce dico: non solo il grande genio calcistico ma anche l’uomo, quell’uomo che il perbenismo borghese vorrebbe oscurare perché espressione dello spirito ribelle degli schiavi di tutto il mondo e in modo particolare dei popoli dell’America latina e di quella Napoli che tanto ad essa somiglia.

   Eccoli sfilare uno a uno i suoi detrattori, a inneggiare alla sua classe calcistica, ma a criticare le sue sregolatezze, a infangare il personaggio sul piano umano per infangare le ragioni sociali che impersonava: la voglia di riscatto non solo attraverso il calcio ma anche attraverso i suoi impulsi di ribellione, lo spirito degli oppressi, denunciando a modo suo l’azione cruenta dell’imperialismo Usa e occidentale e l’uso del calcio come strumento ulteriore di dominio del grande capitale nei confronti di milioni di diseredati che volgono tuttora nei confronti di questo ambiente la speranza della propria liberazione individuale.

   Epperò, cari signori, come non ricordare il linciaggio nei suoi confronti durante i campionati mondiali del ’90, quando rimproveravate a Diego di non essere riconoscente all’Italia che lo aveva arricchito, quasi a chiedergli perciò un impegno minore in campo.

   Certo, scandalizzò benpensanti della stampa italiana ed europea la dichiarazione di Diego, in prossimità della partita al San Paolo – oggi “Diego Armando Maradona” -  che disse: «perché i napoletani dovrebbero tifare per l’Italia se ovunque andiamo ci dicono che siamo sporchi, che abbiamo il colera e invocano il Vesuvio a farci lavare»? Ecco l’animo del plebeo ribelle nel quale i napoletani si rivedevano. E che fosse un ribelle verace fu dimostrato dal fatto che in occasione del suo matrimonio il signor Ferlaino, presidente del Napoli calcio, da vero borghese, non andò al suo matrimonio, quando il 7 novembre 1989 sposò Claudia Villafane, sancendo così la distanza che separa lo schiavo dalla nobiltà borghese. 

   Dovrebbero cercare l’angolo più buio per nascondersi e invece, eccoli ancora una volta a sparar sermoni popolari nei confronti di uno schiavo ribelle che non sapeva tenere a freno la lingua, come tanti altri “campioni” servili al dio-capitale e ai potentati economici che col pallone giostrano miliardi, sfruttando la fame dei tanti e la fama dei pochi arrivati nella casta degli eletti attraverso un massacro sociale di milioni di ragazzi sudamericani e africani attratti dal mercato degli schiavi del pallone. Con tutto quello che gli gira intorno, come ci ricordò Carlo Petrini, ex giocatore del Milan e della Roma, morto a 64 anni, a causa di un tumore al cervello, che nel 2000 denunciò per primo la corruzione, le scommesse e le pratiche dopanti all’interno del mondo del pallone italiano. Denunce e inchieste che spesso, davanti alle morti improvvise e inspiegabili di altri giocatori, ritornano attuali.

   C’è stato chi, come l’ex calciatore del Milan e della nazionale Costacurta, ha trovato il coraggio di ricordare che «per fermare Maradona era necessario dargli molti calci, e tutti i difensori dovremmo chiedere scusa per quanti calci gli abbiamo dato». Meglio tardi che mai verrebbe da dire, ma a che serve? 

   Qualche parola chiara e schietta va detta anche su alcune feroci critiche mosse a Diego dal punto di vista personale. Lo si è criminalizzato perché faceva uso di cocaina. Ma come, in un mondo di cocainomani additate al pubblico ludibrio Maradona che avrebbe fatto perciò scandalo? In un mondo dove per i giovani che aspirano a diventare calciatori si sviluppa un commercio come al mercato delle vacche, avrebbe dato cattivo esempio Maradona che si faceva del male? Quanta ipocrisia! Piuttosto si dovrebbe dire che mentre in tanti, e in troppi, hanno fatto del male a Maradona, e non solo sui campi di calcio, Maradona ha fatto del male solo a sé stesso, mentre ha sollevato lo spirito di milioni di persone umili. Scrivere come fa Fulvio Bufi sul Corriere della sera: «Racchiusi in album azzurri e biancocelesti, ma anche in un album nero che forse è pure quello più doppio», è espressione di volgare rabbia. La rabbia dei tanti che hanno sofferto il fatto che Maradona, nonostante fosse «fragile, ma scaltro, geniale e intelligente», non si faceva imprigionare e per questo ha pagato duramente e con la sua vita. E giocava meglio di tutti, nonostante, non grazie alla cocaina. Signori, se un uomo è tanto amato dalla povera gente, fatevene una ragione! E a Napoli è amato profondamente perché si è calato nell’animo dei napoletani, e tutto il fango che cercate di sputargli addosso non scalfisce minimamente quel sentimento.

   È stato sbattuto il mostro in prima pagina perché «Maradona frequentava i camorristi napoletani». Ma ci vuole un bel coraggio, da parte di chi utilizza il potere camorristico, a denunciare chi fu usato dalla camorra a Napoli, chi – come Maradona – ha denunciato recentemente che c’è un traffico mafioso intorno ai giovani calciatori africani. Ma come, voi, da carnefici sostenitori di questo sistema calcistico e sociale, scambiate la vittima, Maradona, per il carnefice, la camorra e tutti i traffici “leciti” e illeciti che orbitano intorno al calcio come recentemente denunciato dalla trasmissione televisiva Report.  

   A differenza di tanti che operano i distinguo tra il fuoriclasse del calcio e l’impenitente personaggio per prendere quel che serve e buttare l’impenitente, noi ammiriamo tanto più l’uomo nel suo insieme perché nonostante sia salito lì dove nessun’altro è salito come lui, ha usato la sua fama al servizio di chi è oppresso e sfruttato. Lo ha fatto a modo suo, senza la spocchia intellettualistica del perbenismo, ma parlando con parole semplici contro la mafia calcistica e condannando l’azione criminale degli Usa nei confronti dei popoli latinoamericani.    

   Diciamo perciò: è morto un uomo, un genio irraggiungibile, unico, che metteva sempre la gamba per difendere un compagno, che usava la sua genialità non per sé stesso ma per il gruppo; in un mondo di eroi patinati lui è l’anti-eroe per eccellenza, sconfiggibile solo dal logorio della società in disfacimento che lui combatteva, con il pallone, attraverso un pallone e senza pallone. Amato dai guaglioni ‘e mez’a via di Napoli e dell’America Latina.

Comments powered by CComment

Da Marx a Marx
Da Marx a Marx

Autore Michele Castaldo

MODO DI PRODUZIONE E LIBERO ARBITRIO

Marx e il Torto delle Cose

LA CRISI DI UNA TEORIA RIVOLUZIONARIA

  • Visite agli articoli 307947

Articoli - i più letti: