al determinismo, quale concezione teorica e politica coerente sia rispetto ai movimenti di massa, sia rispetto al partito, sia rispetto ai comunisti, sia rispetto - conseguentemente - al singolo “comunista” quale singolo militante ecc. ecc. e giù giù fino alla cosiddetta ‘scelta individuale ‘ ed al “libero arbitrio”. Prendo pertanto a prestito lo spunto abbastanza calzante di un compagno -che da qualche anno ci ha lasciato- per affrontare uno dei punti cruciali delle questioni:

L’antagonismo di classe.

<<Certamente, Marx non cercò di analizzare attraverso quali passaggi una classe schiava del capitale diventi in certe fasi antagonista cosciente del capitale. Sembra che la vecchia talpa emerga improvvisamente ed apra gli occhi solo con il precipitare della crisi economica. Nessun altro, dopo di lui, si è però cimentato con questo problema, limitandosi tutti a registrare la discontinuità della lotta e della coscienza di classe. Probabilmente, sarebbe questa la vera indagine “scientifica” da farsi e, sicuramente, non l’ha fatta neppure Lenin o probabilmente, allo stato delle nostre capacità, è impossibile a farsi. >>

scriveva il compagno (la sottolineatura in corsivo è mia.). In questo paragrafo è concentrata in un certo qual modo la summa di certe contraddizioni non tanto con il compagno in questione, ma con tutte quelle organizzazioni e gruppi che si sono succeduti negli ultimi 90 anni in modo particolare in Occidente. Vediamo di capire perché e cerchiamo innanzitutto capire se è una complicazione rispetto allo scenario della fase che si approssima. Indipendentemente da Marx, nessuno avrebbe potuto analizzare i passaggi delle fasi attraverso le quali il proletariato diventa antagonista, perché il proletariato – e non solo - si comporta quale riflesso agente all’andamento del processo di accumulazione del Sistema del Capitale. E’ cioè figlio legittimo del Sistema del Capitale, da esso e dalle sue leggi dipende nel bene come nel male. Fissiamo per un attimo la nostra attenzione su questo passaggio:

<<nessun altro, dopo di lui si è cimentato con questo problema >>

 

In che modo chiunque altro si sarebbe potuto cimentare prescindendo dai fattori che determinano il ‘riflesso agente ‘ o dalla sua improvvisa emersione da vecchia talpa?. Marx si cimentò dopo la Comune di Parigi, non prima. Lenin si cimentò dopo la rivoluzione operaia del 1905 in Russia, non prima.

 

<< Probabilmente, sarebbe questa la vera indagine “ scientifica” da farsi e, allo stato delle nostre capacità, è impossibile a farsi >>

 

Non è un problema di nostre capacità, ma è lo stato delle cose e se questo non lo consente, vuol dire, che devono mutare le cose per consentirlo e dunque è dalla loro modificazione che capiamo in che modo il proletariato ‘diviene’ antagonista; e dunque: in che modo si costituisce in classe.

Lenin fin dal 1892 aveva intuito in un certo qual modo cosa incubava in Russia e si separò dai menscevichi nel 1893 – con soli due voti in più, 18 a 16 – proprio in virtù di quella intuizione rivelatasi corretta per poi essere sorpassato -però- dal movimento di massa proletaria, dagli scioperi del gennaio 1905 e diretti da tal Gapon, prete ortodosso e collaboratore di polizia. Ecco il punto: Lenin comincia realmente a “tessere”, solo dopo il 9 gennaio 1905 perché solo dopo il proletariato apriva gli occhi, si costituiva e si mostrava come classe per sé in Russia, indicava cioè i passaggio e dunque, in Lenin potevano essere riflessi e perciò sussunti quei comportamenti operai, non prima.

 

Abbiamo le necessità oggettive, l’impoverimento del proletariato tessile e industriale e questo impoverimento ad un certo punto diviene azione di lotta. Questo deve intendersi per determinismo o materialismo dialettico altrimenti detto. Certo, Gapon era un personaggio che non poteva in alcun modo reggere il confronto con Lenin, che per di più faceva parte di una formazione politica seppur piccola di tutto rispetto, e dunque i due fattori (impoverimento e azione) costituiscono un primo flusso determinato. Da tener presente, ovviamente, che il partito socialdemocratico russo si era formato sia come riflesso per le lotte operaie in Germania che per gli echi delle lotte operaie che provenivano dagli Usa, oltre che dalle stesse lotte operaie in Russia: dunque tre fattori riflessi, che ne predisponevano e ne favorivano l’elaborazione teorica. Solo ad un certo punto però – il 9 gennaio 1905 – l’aggravamento delle condizioni operaie, frutto anche della guerra della Russia con il Giappone, fanno sì che fuoriesca con una potenza dirompente il fuoco dal vulcano dello sfruttamento capitalistico in Russia. Allo stesso modo di come nonostante la Prima Internazionale, il proletariato americano ingaggia le sue straordinarie lotte per la giornata lavorativa delle otto ore alcuni mesi dopo che si era sciolta l’Internazionale a Filadelfia, perché la borghesia americana passò ad attaccare i lavoratori e questi si difesero contro i licenziamenti, cominciando la lotta per la giornata lavorativa di otto ore durata alcuni anni.

 

Fatte le debite proporzioni, trasferiamo ai nostri giorni la questione, prendiamo ad esempio la lotta dei metalmeccanici di Melfi di alcuni anni fa e notiamo che solo dopo dieci anni di oppressione e salari differenziati rispetto ad altre aree del paese ed allo stesso contratto collettivo nazionale, si rivoltarono all’improvviso, a nessun compagno ed a nessuna formazione politica post 68 o 77 si raccordarono i lavoratori in quella battaglia. Andando un poco più indietro nel tempo, successe lo stessa cosa nel luglio 1962, in piazza Statuto a Torino, o più di recente, i braccianti agricoli a Rosarno, in Calabria, nel gennaio di quest’anno.

 

Dunque non una indagine indefinita sul come il proletariato si costituisce in classe, ma come volta per volta si è costituito, come si costituì ieri e abbozzare a come si potrà costituire nell’immediato futuro, sempre in relazione al ‘riflesso agente’.

Per stare all’attualità, c’è una crisi economica generale e mondiale, di tutto il Sistema del Capitale, come da più parti vien detto, e ci si incomincia a interrogare. Da un lato c’è chi sostiene che siamo all’ultima crisi come A. Carlo per esempio; e chi invece vede nella capacità della borghesia un ritorno al New Deal per rilanciarsi; chi pone l’accento sul fatto che la borghesia occidentale punta ad un nuovo accorpamento con il proletariato contro il sud del mondo e chi invece vede l’impossibilità di tale accorpamento per ragioni strutturali immanenti nell’accumulazione stessa, chi nella crisi vede una corsa obbligata verso un terzo conflitto mondiale dalle conseguenze catastrofiche ecc. ecc. Al momento ai “comunisti” arrivano frammentari segnali di costituzione in classe del proletariato da ogni dove del globo terrestre, e tutti hanno lo stesso segno, ovvero rottura con gli schemi e le tradizioni di un proletariato che cresce ‘accumulativamente ’. Ossia: decresce l’accumulazione capitalistica, decresce la possibilità per il proletariato di integrazione col Sistema del Capitale, anche laddove – come in Asia – si ipotizzava una crescita qualitativa del proletariato e dunque una integrazione di fase.

 

Il soggetto: il proletariato.

 

Tra le varie posizioni del modo di intendere il rapporto ‘ classe - coscienza - partito ‘ prendiamo ad esaminare la seguente tesi, esposta sempre dallo stesso compagno, che in qualche modo meglio racchiude le questioni:

 

<<Insomma, il soggetto della rivoluzione è uno solo, non due: è il proletariato, che si dà il partito, quindi la coscienza, allorché il campo sociale si ionizza e attira in quell’unico soggetto costituente anche i comunisti.>> (il corsivo è mio).

 

E’ il macigno su cui lavorare. “Il soggetto della rivoluzione è uno solo, non due”. Giusto, con la precisazione d’obbligo che parliamo di rivoluzione proletaria. “…è il proletariato, che si dà il partito, “ quindi siamo ad una separazione tra il soggetto, il proletariato, che si dà un suo strumento formale, il partito, <<quindi la coscienza>>. Il partito sarebbe, seguendo questa impostazione, la coscienza del proletariato.

Da un punto di vista materialista, il proletariato viene a essere posto in azione da fattori scaturenti dalle leggi del Sistema del Capitale, è dall’azione che prende coscienza, cioè dal suo stesso comportamento di e da riflesso agente e si dà ‘in’ partito politico, cioè prima dello strumento formale, compresso da fattori del dio capitale, si dà in azione, pone con l’azione degli obiettivi, dal che ne fa scaturire il programma reale e da esso ne organizza lo strumento formale. Il partito - dunque – deve essere materialisticamente inteso come fattore programmatico e conseguentemente a questo, organizzativo. Programma rapportato ai suoi reali interessi scaturenti da necessità oggettive, rapportati però ai rapporti di forza. Altrimenti detto: il partito reale non si può dare una volta per tutte, perché il proletariato non si pone in essere, non si costituisce in classe per sé sempre, od allo stesso modo, ma a seconda delle fasi storiche, dei fattori determinati dell’accumulazione capitalistica.

Stiamo parlando del partito reale del proletariato. Altra cosa è il Partito ideale di esso in cui fluiscono le aspirazioni storiche, e perciò stesso ideali.

Se il partito dovesse essere la coscienza del proletariato, bisognerebbe spiegare di cosa sarebbe cosciente, perché sarebbe cosciente, ed inoltre il perché in un determinato momento. A meno che non si voglia intendere che si tratta di coscienza storica, degli interessi storici, del proletariato, ed allora la questione va affrontata in modo diverso.

 

Il compagno puntualizza: << allorché il campo sociale si ionizza >> . Giustissimo, nel senso di ‘un momento determinato ’ << e attira in quell’unico soggetto costituente i comunisti >> parte separata preesistente. E ne dobbiamo per forza di cose dedurne e ne dovremmo spiegare del perché di tale preesistenza. Se questa va definita come espressione del partito ideale, siamo ad un percorso parallelo della classe per un verso e dei comunisti per l’altro verso. Se questi sono costituiti in partito, è il partito che viene attirato dalla classe ‘allorché il campo sociale si ionizza’. Se è il proletariato che ionizzandosi attira a sé i comunisti, questi sono espressione di una concezione ideale, visto che comunque si dovrebbero rapportare alle istanze del proletariato in azione. Ma allora non siamo in presenza di un partito storico del proletariato, ma di una visione, concezione, teoria, ideali per il proletariato, non del proletariato.

A questo punto, mi sembra di poter affermare in tutta tranquillità quanto sopra esposto e cioè che va fatta la distinzione tra partito politico ideale del proletariato e partito politico reale del proletariato. Il primo deve fare lo sforzo di relazionarsi al secondo, così come storicamente è accaduto. Per dirla chiara: una preesistente teoria essendo il frutto di una esperienza storica preesistita, e in quanto tale di un ciclo storico trascorso, può sì tracciare a grandi linee ideali impostazioni teoriche proiettate al futuro dello scontro di classe, ma non può rappresentare l’esperienza storica a darsi; saremmo altrimenti ad una sorta di meccanicismo antidialettico.

 

Il soggetto tra passato, presente e futuro

Il programma del Partito Comunista d’Italia del gennaio 1921 al punto 3 recita:

 

<< il proletariato non può infrangere né modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione, da cui deriva il suo sfruttamento, senza l’abbattimento violento del potere borghese.>>.

 

Giustissimo principio teorico, stabilito il quale, si tratta poi di capire il quando e il come questo è possibile, oltre che giusto e necessario, cioè ‘oggettivo’ ; e questo è dato da fattori del tutto estranei ai comunisti ed ai loro programmi, ammesso che possano esistere in quanto tali a prescindere da certi rapporti determinati fra le classi. Altrimenti detto: i soli fattori “oggettivi” non sono sufficienti, ad essi si devono aggiungere quelli determinati. Era dalla riforma agraria del 1861 che i contadini in Russia venivano oltremodo impoveriti e affamati, ma solo nel novembre 1917 ci fu una insurrezione congiunta quale culmine delle occupazioni delle terre. Nel novembre, confluirono molti più fattori che ne determinarono l’insurrezione generale. Questo fu il partito, al quale i bolscevichi aderirono, non viceversa.

 

Non è in discussione l’atto costitutivo della frazione bolscevica rispetto al Posdr, o del Pcd’I, quale straordinaria azione politica di un pugno di militanti che seppure minoritari rispetto ai rapporti di forza aderirono alla formazione della Terza Internazionale. Così come gli “errori” dei comunardi si possono e si devono spiegare a partire dai rapporti di forza determinati che a loro volta non prescindono dall’inesperienza, frutto anch’essa dei rapporti di forza fra gli oppressi e gli oppressori.

Il punto in questione è che non si possono ricercare le cause dell’arenarsi della Terza Internazionale nei tradimenti e/o nei rinnegati, essi semmai ne rappresentarono l’effetto, non la causa. Allo stesso modo che ai giorni nostri molti “comunisti” o “estremisti” sono passati al nemico e spariamo su di essi quali responsabili dell’arretramento delle condizioni del proletariato piuttosto che vedere, guardare in faccia il nemico, il Capitale, che ha potuto e perciò saputo comprare detto materiale umano. Se c’è il corrotto - e molti partiti e personaggi furono e sono fuori da ogni dubbio corrotti -, è perché esiste il corruttore, la causa prima è lui, il dio Capitale; molto, ma molto più in subordine c’è il corrotto. Se si prende a sparare sul corrotto, è perché non si ha la forza di sparare sul corruttore, anch’esso frutto dei rapporti sfavorevoli di classe.

 

Se si ragiona – come giustamente tantissimi compagni fanno – sulla necessità di uno schierarsi a prescindere dagli sfavorevoli rapporti di forza, questo lo si deve raccordare in quanto riflesso di necessità oggettive delle classi oppresse e nello specifico del proletariato, non col principio del libero arbitrio, in quanto “possibilità” di eroica “scelta” individuale, o, peggio ancora, sulla natura individuale della “scelta”. A maggior ragione, questo è valido per gruppi politici, organizzazioni o “partiti”. Se prendiamo a riferirci a Lenin, elaboratore più di molti altri teorici della storia del movimento operaio, notiamo che passa con una certa “disinvoltura” da una parola d’ordine come ‘Tutto il potere ai soviet’ nell’ aprile del 1917, alla più totale avversione ad essa, con la giustissima motivazione: ‘Questi soviet sono stati totalmente svuotati dei loro contenuti iniziali e dunque quella parola d’ordine ‘Tutto il potere ai soviet’ non ha più alcun senso’. Erano trascorsi appena tre mesi dalle ‘Tesi di aprile ‘ nel giugno del 1917 (ad onor del vero già i soviet del 1917 erano cosa ben diversa da quelli del 1905, ma è motivo di altra indagine, di ulteriore approfondimento che non attiene al presente lavoro).

Molti compagni e gruppi politici ne hanno esaltato la “genialità” di quella parola d’ordine, il “brillante intuito” fino a farne un feticcio, senza curarsi, senza indagare come mai e perché tre mesi dopo, Lenin sostiene l’opposto di quel che aveva sostenuto tre mesi prima. La ragione c’è ed è materiale: all’indomani dei grandi scioperi operai delle prime giornate dall’8 marzo in poi, quella che comunemente viene definita la rivoluzione di febbraio 1917, il Comitato esecutivo dei soviet di Pietrogrado – autodefinitosi come tale da parte di un gruppo di menscevichi e socialrivoluzionari – raggiunge un accordo con l’associazione degli industriali della capitale sulle otto ore della giornata lavorativa e il diritto a costituire comitati di fabbrica nelle aziende.

Questo accordo raffreddò gli animi tanto degli operai quanto dei contadini: i primi avevano ottenuto un risultato per il quale erano insorti 12 anni prima pagando un atroce tributo di sangue; i secondi speravano che il loro partito una volta nel governo avrebbe portato a soluzione la confisca, la distribuzione e l’assegnazione delle terre. Si determinò uno stato d’animo di fiduciosa attesa fra decine di milioni di contadini, di soldati e fra gli operai anche per gli esiti della guerra.

 

Altrimenti detto, nella primavera del 1917 la borghesia cerca di mettere a frutto ed a suo favore l’insurrezione del gennaio 1905 ed il conseguente massacro, cercando di evitare in questo modo la rivoluzione dell’autunno-inverno dello stesso anno repressa duramente nel sangue in dicembre, ed aveva dovuto ingoiare obtorto collo alcune delle rivendicazioni più importanti degli operai. Questo per un verso; per l’altro verso, i lavoratori avevano capitalizzato dal canto loro tanto l’insurrezione del 1905 quanto quella di febbraio (marzo) 1917, con l’ottenimento della riduzione della giornata lavorativa e la possibilità di organizzarsi per comitati di fabbrica. In una fase di relativo stallo, i contadini occupavano le terre ed erano “tollerati” dalle autorità governative.

Cacciato cioè lo zar, e ancor prima della costituzione del governo Kerensky, gli industriali e i partiti del riformismo operaio e contadini, stipularono un accordo per tarpare le ali all’insurrezione, per evitare che questa oltrepassasse i confini della lotta contro l’autocrazia zarista. Si <<rammollirono gli operai>> (l’espressione è di Trotskij) per l’accordo, si costituì il governo Kerensky , nel mentre, cioè da aprile a giugno, si costituirono “spontaneamente” i soviet, ma in essi (come riferisce ancora Trotskij) confluì di tutto e di più, ed a fronte di un operaio che aderiva, ne prendevano parte 4 o 5 delle classi intermedie e dei soldati (contadini, da tener presente che erano 10 milioni i contadini nell’esercito – fonte Trotskij) –cioè contadini mandati al macello della guerra imperialista- fra questi … avvocati, ingegneri, ufficiali dell’esercito, truffatori e filibustieri ecc. ecc. al punto che – a giusta ragione – Lenin dirà << Non ha più alcun senso la parola d’ordine ‘tutto il potere ai soviet’>> a giugno 1917, ripetiamolo, a soli tre mesi dall’insurrezione di febbraio (8 marzo a seguire).

Vedere perciò nell’azione “tarpatrice” dei partiti riformisti, l’azione separata, avulsa, sovrapposta ad una diversa volontà del proletariato vigoroso e battagliero come prima dell’accordo del 27 marzo tra industriali e “soviet” equivale a negare il riflettersi nei partiti riformisti della volontà dei lavoratori, una volontà di una migliore condizione di vita, di lavoro, ma anche di tranquillità, di non stare sempre a rivoluzionare.

 

Proletariato e comunisti

Recita ancora lo stesso programma del Pcd’I al punto 4.:

 

<< l’organo indispensabile della lotta rivoluzionaria è il partito politico di classe. >>

 

Apparentemente, si tratterebbe di una giustissima affermazione di principio. Da un punto di vista del materialismo dialettico, si deve però obiettare che sono i fattori determinati che provocano il riflesso agente che a sua volta è posto nella indispensabilità della lotta rivoluzionaria e questa a sua volta pone programmaticamente i contenuti e dunque gli strumenti. Si tratta di una questione solo apparentemente teorica, ma l’esperienza storica, in Russia e non solo, ha dimostrato che non è solo teorica ma si tramuta in difficoltà politica.

 

<<Il Partito comunista, riunendo in sé la parte più avanzata e cosciente del proletariato, ….>>

 

Chiediamoci: è uno strumento per la classe o della classe? In quanto organo non può essere preesistente allo svolgersi degli eventi. Se è un organo del proletariato, è l’organo di un corpo, dal suo nascere al suo maturare; in quanto tale -cioè organo di un corpo- non può non essere conforme al suo processo sia di gioventù, sia di maturità sia senile. In quanto organo di un corpo è in sintonia con esso perché è esso stesso che si esprime, attraverso l’organo, ovvero apparato del corpo. Altrimenti è uno strumento di riflesso storico delle necessità del proletariato, passate, presenti e future, che proprio perché riflesse, possono da più parti essere stiracchiate, idealizzate, elaborate, mistificate ecc. . Una sorta di “anima” separata dal corpo, dunque un ideale ….ibrido.

 

<<[il partito] unifica gli sforzi delle masse lavoratrici, volgendoli dalle lotte per gli interessi di gruppi e per risultati contingenti, alla lotta per la emancipazione rivoluzionaria del proletariato; >>

 

Ora, posta in questi termini la questione, appare – il partito – non come la classe che si esprime, ma come uno strumento della classe che influenza altre parti del corpo proletario. Si tratta di una forzatura dialettica, perché presuppone la classe divisa per reparti, avanzato, medio, arretrato,piuttosto che determinata da fattori oggettivi, in cui il reparto più avanzato ”unifica gli sforzi delle masse lavoratrici” , ”volgendoli dalle lotte per gli interessi di gruppi e per risultati contingenti alla lotta per l’emancipazione rivoluzionaria del proletariato” .Dunque il fattore dell’unificazione viene visto quale fattore di coscienza esterna, ideologia di cui si è impossessata una parte della classe che immette a sua volta all’interno di tutta la classe e ne modifica il cammino dalle rivendicazioni particolari, alla emancipazione generale del proletariato.

 

<< esso[il partito] ha il compito di diffondere nelle masse la coscienza rivoluzionaria, di organizzare i mezzi materiali d’azione e di dirigere nello svolgimento della lotta il proletariato. >>.

“Il Partito comunista riunendo in sé la parte più avanzata e cosciente del proletariato,…“

 

Cosciente di cosa? E’ questa la vera questione sulla quale riflettere. Siamo nel 1921, in Russia c’è stata la rivoluzione e la guerra civile e Lenin nel tentativo di evitare che la rivoluzione venisse soffocata dall’attacco concentrico delle borghesie europee invocò la costituzione dell’Internazionale e lo viluppo della rivoluzione nel resto d’Europa con la costituzione di sezioni nazionali di partiti comunisti aderenti all’Internazionale.

Stiamo sino in fondo con Lenin e con quanti valorosi ed eroici compagni si schierarono in quel modo, cioè con la Terza Internazionale, tutti inclusi, nessuno escluso.

Ma il proletariato europeo in generale, e quello italiano in particolare, non stava sul terreno rivendicato dal Pcd’I di Bordiga e Gramsci.

 

Siamo – a ben vedere – a formule di principio e non del tutto esatte, perché l’organo di classe presuppone un proletariato che si costituisce in classe - secondo quel principio teorico di Marx: il proletariato si costituisce in classe e si dà in partito politico -, un corpo in movimento che aziona i suoi organi. Non può darsi dialetticamente un organo vigoroso in un corpo fragile; non può, un proletariato non costituito in classe vigorosa, darsi un organo che lo organizzi e lo diriga vigorosamente. Emerge in tutta chiarezza una posizione un poco confusa, che fornisce del proletariato ancora una volta una visione in reparti: avanzati, intermedi ed arretrati, piuttosto che una classe che agisce in quanto riflesso agente. Proprio le rivoluzioni in Russia del gennaio 1905 e del febbraio 1917 dimostrano che tale impostazione e inesatta, perché nel gennaio 1905 i primi a sollevarsi furono gli operai delle industri metallurgiche, nel febbraio 1917 furono i lavoratori delle industrie tessili (che non erano i reparti più avanzati del proletariato russo) e le donne in fila presso i forni per il pane ed insieme si recarono presso le industrie metallurgiche a chiedere la solidarietà e la scesa in sciopero, nel mentre i bolscevichi si mostravano scettici e furono tirati per i capelli nelle mobilitazioni. Successe la stessa cosa, in sedicesimi, nel luglio 1962 a Torino, si ribellarono gli operai più “arretrati” dei metalmeccanici, non i più “coscienti”. E’ successo nel gennaio di quest’anno a Rosarno in Calabria, si sono ribellati gli operai più oppressi, più sfruttati, più immiseriti, più ….colorati. Dal che ne deduciamo necessariamente che sono i fattori determinati a suscitare il riflesso agente.

 

Se stiamo ai fatti, e come materialisti non possiamo che stare ad essi, questi ci dicono che non è esatta la concezione del proletariato per reparti, ma che esso obbedisce alle ferree leggi del determinismo economico, sociale e dunque politico. Se così, la teoria del partito quale reparto cosciente della classe, ha valore solo se rapportata al contesto delle determinazioni; viceversa ha valore solo ed esclusivamente quale punto di vista ideale, quale riflesso oggettivo di oppressione e dello sfruttamento, e dunque espressione di partito ideale. Ne consegue che: più è rammollito il proletariato, più si idealizza il partito, più si attivizza il proletariato, più si realizza il partito.

 

Visto sotto quest’ottica, necessariamente materialista, il partito reale non può non essere che il programma di fase del proletariato – e non solo di esso, ma anche di altre classi oppresse, come i contadini, di cui più avanti dirò -in rapporto ai rapporti di forza con le altre classi all’interno del Sistema del Capitale.

Il determinismo non è una regola matematica, come si lascia sfuggire Plekhanov perché la lotta di classe è una scienza di gran lunga diversa e infinitamente più complicata della matematica perché ha a che fare con l’umore reale delle persone che non sono numeri, né concetti, tanto meno suggestioni, che si possono elaborare all’infinito astraendoli a se stanti, essa ubbidisce ai rapporti di forza delle classi allo stesso modo del funzionamento della legge gravitazionale in fisica. Se analizziamo l’onda rivoluzionaria che percorre l’Europa dalla fine del 1700 agli anni venti del 20esimo secolo, ed in modo particolare ci soffermiamo agli anni 1905/ 1920, possiamo osservare l’impeccabilità di tale legge. In Lenin, viene a essere riflesso l’espressione di un centro gravitazionale in un contesto determinato che attrae verso il nucleo della rivoluzione in rapporto alla forza che questa rivoluzione esprime. Pertanto a noi spetta - innanzitutto - il compito di fissare cosa aveva attratto, più che del chi aveva attratto e solo in via molto subordinata ci andiamo ad interessare del chi aveva attratto.

<<Lenin - scrive A. Rosemberg - era allora su un binario obbligato, dal quale non poteva uscire: per salvare il socialismo in Russia, bisognava incrementare senza indugi la rivoluzione in Europa. E se in Europa non esistevano partiti rivoluzionari sviluppati e comitati centrali di partito, bene o male bisognava crearli, in qualunque modo. *>>. Questo è un modo corretto, determinista, di ragionare da un polo: quello proletario. Ecco perché non ci aiutano certi lavori sulle personificazioni, foss’anche del più rivoluzionario dei marxisti del 900, quale Lenin potrebbe essere definito. La storia non è fatta di ragioni e torti, ma di classi e di interessi, forze determinate che si scontrano. Stiamo schierati incondizionatamente dalla parte del proletariato e degli oppressi, proprio per questo ne analizziamo le sue sconfitte a partire dai rapporti di forza che le hanno determinate piuttosto che spulciare negli errori delle sue avanguardie nei quali quei rapporti di forza si sono riflessi. Dunque gli “errori” vanno inquadrati in quest’ottica. Se altrimenti:

 

<< Le correnti della sinistra comunista che si staccarono dalla III Internazionale purtroppo non si avvidero del pericolo di finire nella logica delle sette, perché furono assorbite dalla lotta e dalla polemica contro la degenerazione riformista in atto.>> (la sottolineatura è mia)

 

come scrive il compagno, affidiamo alle correnti della sinistra comunista la possibilità di “avvedersi” piuttosto che di “non avvedersi” di un pericolo, affidiamo a compagni e organizzazioni la ragione del ‘libero arbitrio’, la “scelta”, la possibilità di fare una cosa piuttosto che un’altra, non ne usciamo e continuiamo a rincorrere il Peppone Stalin col randello Capitale di Marx in mano. Anche Lenin ipotizzava i contadini organizzati in grandi aziende agricole collettive ed un proletariato agricolo in lotta per il socialismo, poi però fu travolto dall’insurrezione di contadini e di soldati contadini, e fu costretto a prendere misure in agricoltura che aveva avversato per anni, in nome della dittatura del proletariato e dei contadini. Doppia caduta sullo stesso precipizio: I “contadini” omologati su di uno stesso piano di idealismo collettivista; i lavoratori agricoli – ex contadini falcidiati dalla riforma agraria del 1861 e con straordinaria fame di terra – equiparati a lavoratori-proletariato-classe operaia quando questi erano il frutto sia delle riforma del 1861 sia dell’ascendente capitalismo in agricoltura e pertanto avevano ancora più fame di terra di ogni altra categoria di contadini espulsi dal “proprio” nadiel. Trotkij predicava la necessità della dittatura del proletariato e dei contadini negli anni venti in Cina, nonostante che gli operai fossero solo l’1% della popolazione. In “teoria” tutto è concesso, tutto si può dire.

Spassosa digressione:

Un vecchio operaio, ex bracciante agricolo, dei cantieri edili del costruendo stabilimento Alfa-sud (oggi Fiat) nel 1970, in polemica con l’estremismo infantile di allora, soleva ripetere: il proletario sono io; io devo fare la rivoluzione? Dunque lo stabilisco io, se, come e quando.

 

Per concludere.

Questo sito vuole essere una voce fra mille altre voci del proletariato, e possibilmente una tribuna di quanti senza idealizzare ciò che è reale e senza l’illusione di realizzare tutto quel che è ideale, vogliono contribuire a riferirsi ad una classe determinata, rivoluzionaria di fatto, in una fase di crisi generale del Sistema del Capitale dove si possono aprire scenari dagli esiti imprevedibili. L’ideale deve fare lo sforzo di rapportarsi al reale. E’ molto più difficile, è complicato, ma è il solo senso materiale della storia.

Storcano pure il naso quanti, intenti a stilar proclami, non si avvedono del reale e si gonfiano fino a divenire palloni aerostatici sollevati dall’ “ossigeno” del perfezionismo programmatico e vanno a zonzo fra le nuvole della metafisica sognando il giorno che dirigeranno il proletariato che incosciente insorgerà e ad essi si affiderà perché detentori della più perfetta “scienza comunista”.

Roma aprile 2010



* A. Rosenberg: Storia del bolscevismo Ed. Leonardo Roma 1945

Da Marx a Marx
Da Marx a Marx

Autore Michele Castaldo

MODO DI PRODUZIONE E LIBERO ARBITRIO

Marx e il Torto delle Cose

LA CRISI DI UNA TEORIA RIVOLUZIONARIA

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